Due dei quattro imputati per l’omicidio di Cristina Mazzotti chiederanno di poter essere processati con rito abbreviato per ottenere il relativo sconto di pena. Si tratta di Giuseppe Morabito e Demetrio Latella, finiti nel mirino degli inquirenti nella nuova inchiesta riguardante il sequestro della giovane, morta di stenti a soli 18 anni, nel 1975, dopo essere stata imprigionata, per motivi mai chiariti, in una “buca” scavata nel terreno. Sulla sua vicenda, che nel tempo ha portato alla condanna di 13 persone, non si è mai riusciti a fare del tutto chiarezza.
Omicidio Cristina Mazzotti, per due degli imputati possibile processo con rito abbreviato
La svolta che ha portato in aula i nuovi presunti sequestratori di Cristina era arrivata lo scorso maggio, quando, leggendo le carte di un altro processo, quello relativo all’uccisione del giudice Bruno Caccia da parte della ‘ndrangheta, l’avvocato dei familiari, Fabio Repici, si era imbattutto in delle informazioni sull’omicidio della giovane. Dopo i nuovi accertamenti effettuati dagli inquirenti, erano stati fatti i nomi di quattro persone: oltre a Morabito e a Latella, che hanno fatto sapere che chiederanno di essere processati con rito abbreviato, in modo da poter ottenere lo sconto di un terzo dell’eventuale pena, sono imputati anche Giuseppe Calabrò e Antonio Talia.
Il più noto è Morabito, boss della ‘ndrangheta del Varesotto di 78 anni, ma anche gli alti sono ritenuti vicini a cosche calabresi. L’ipotesi è che abbiano preso parte – non si ancora in che termini – al rapimento (seguito dall’omicidio) della 18enne, avvenuto in circostanze misteriose nel 1975. Nel corso della prossima udienza, fissata per il 12 luglio, il giudice per le indagini preliminari dovrà anche decidere se acquisire, tra gli atti dell’inchiesta, la sentenza dello storico processo in cui, nel 2000, si ricostruì la struttura dell’organizzazione mafiosa ‘ndranghetista.
Il sequestro e la morte della 18enne di Como
Di Cristina si persero le tracce la notte del primo luglio 1975. La ragazza, appena 18enne, si trovava in compagnia di alcuni amici: stava facendo rientro nella villa di famiglia a Eupilio, in provincia di Como, dopo aver partecipato a una festa post-diploma, quando l’auto su cui viaggiava, una Mini, fu affiancata da una Fiat 125 da cui scesero degli uomini che la prelevarono con la forza, portandola con loro. Si trattava di un commando della ‘ndrangheta.
Il suo corpo, su segnalazione di una telefonata anonima, fu trovato il primo settembre successivo in una discarica di Galliate, in provincia di Novara. Secondo il pm che ha riaperto il caso (dopo la condanna di altre 13 persone), sarebbe stato Morabito ad orchestrare il sequestro, mettendo anche a disposizione dei rapitori un’auto per “fare da staffetta verso il luogo” della prigionia.
Stando a quanto ricostruito dalle indagini, prima del decesso la giovane sarebbe infatti stata rinchiusa in una specie di buca scavata nel terreno. Al suo interno sarebbe morta di stenti, dopo aver assunto massicce quantità di tranquillanti. Il motivo? Forse un riscatto, visto che era una delle figlie di un noto imprenditore del settore cerealicolo. Sulla vicenda, nonostante anni di inchieste, non si è mai riusciti a fare pienamente luce.
È ciò che chiedono, a gran voce, i familiari della vittima, come il fratello e la sorella, costituitisi parte civile al processo. La nipote, Arianna, aveva invece dichiarato:
Il mio impegno è tenerne viva la memoria perché mi occupo della Fondazione Cristina Mazzotti, che ha come obiettivo la prevenzione delle condotte anti-sociali nei giovani, attraverso attività educative e di formazione.