A Milano, nelle vie del Lazzaretto in zona Porta Venezia, la situazione della movida è fuori controllo. Da anni i residenti denunciano infatti come il quartiere sia diventato invivibile a causa della presenza di numerosi bar che, non avendo in molti casi capienza all’interno, riversano i loro clienti nelle strade fino a tarda notte. Per questo i cittadini, sfiniti dalla situazione, hanno deciso di costituirsi nel Comitato Lazzaretto al fine di dialogare con le istituzioni. Nonostante i tentativi, tuttavia, l’assenza di risposte e soluzioni condivise ha portato i residenti sfiniti a presentare addirittura una causa civile contro lo stesso Comune.

Mala movida a Milano, Montafia (Comitato Lazzaretto): “Non siamo oscurantisti, ma si è superato ogni limite. Le nostre vie sono un inferno”.

Il problema della mala movida non attanaglia solo Milano, ma certo è che ad ascoltare le testimonianze dei residenti della zona Lazzaretto si rimane senza parole. Da anni infatti il Lazzaretto, reticolo di vie del quartiere Porta Venezia, è diventato il centro di una movida fuori controllo che sta rendendo impossibile la vita degli abitanti del quartiere, costretti a convivere quotidianamente con schiamazzi che fino a tarda notte impediscono il loro riposo. L’afflusso di persone che ogni sera popola via Lecco e le vie nei dintorni, peraltro, pone importanti problemi di sicurezza: sempre più spesso vengono infatti denunciate aggressioni e violenze a danni di residenti e turisti. Per questo i cittadini, già da anni, si sono riuniti in un Comitato che fa rete con altre associazioni di quartiere milanesi che convivono con gli stessi problemi e, a livello nazionale, con il Comitato No degrado e Mala movida.

La redazione di TAG24 ha raccolto la testimonianza della presidente del Comitato Lazzaretto, Elena Montafia, in questa intervista esclusiva.

Montafia, è iniziata l’estate. Come è la situazione in Lazzaretto?

“La situazione, purtroppo, è invariata rispetto gli scorsi anni. Almeno tre sere a settimana sotto le nostre finestre c’è il delirio, con migliaia di persone accalcate fino a tarda notte. La situazione non solo non migliora, ma se possibile peggiora. Ancora una volta passeremo una estate sprangati in casa convivendo con rumori insostenibili. Oltre a non dormire, la notte abbiamo persino difficoltà di accedere alle nostre case. Quando usciamo la mattina, infine, troviamo per strada i rifiuti lasciati dalle persone”.

La lotta del Comitato Lazzaretto, che va avanti da anni, non ha dunque mai prodotto risultati?

“Ci tengo innanzitutto a specificare che la nostra non è mai stata una lotta, semmai un’intenzione civile da parte di cittadini perbene che hanno chiesto ai loro amministratori di essere ascoltati per trovare delle soluzioni. È fuorviante pensarci come dei battaglieri agguerriti: siamo solo dei cittadini che, forti del loro senso civico, hanno cercato di interloquire con i loro amministratori.

Noi ci siamo mossi sul piano istituzionale, tra l’altro facendo anche attività di contenimento di qualche testa calda che poteva non accontentarsi di buttare giù l’acqua dai balconi. Cerchiamo infatti di indirizzare il malumore con proteste lecite e rispettose”.

Quali interlocuzioni avete avuto in questi anni?

“Più volte abbiamo portato le nostre istanze nei consigli di municipio, più volte abbiamo incontrato assessori, questore, prefetto. Insomma, abbiamo avuto interlocuzioni con tutte le autorità della città. Ma non abbiamo mai avuto risposte. Anzi, molto spesso abbiamo subito soluzioni proposte da altri che erano convinti di fare il nostro bene. Dunque oltre il danno anche la beffa.

Sette anni fa ci fu infatti un fantomatico accordo tra i gestori dei locali che, senza neanche interpellarci, decisero che avrebbero chiuso i locali entro una certa ora, avrebbero richiesto una pulizia straordinaria delle vie e avrebbero assunto degli steward per mantenere l’ordine. Questo «patto felice», come lo chiamarono, non ha ottenuto alcun risultato, come era prevedibile. Per questo dopo anni di inutili tentativi abbiamo dovuto cambiare strategia”.

Ovvero?

Come Comitato Lazzaretto abbiamo fatto una causa che oggi è iscritta a ruolo nei confronti del Comune di Milano. Avremo una prima udienza, presumo, a ottobre. Nel frattempo però, è uscita la sentenza di appello che a Torino ha confermato, in primo grado, le mancanze del Comune nel tutelare i cittadini dalla mala movida. Recentemente è arrivata a Brescia una sentenza in Cassazione che ha confermato anche lì come il Comune sia responsabile dei disagi che vivono i residenti in queste situazioni. Il sindaco Sala ha così cominciato ad accorgersi di noi”.

Quando crede che la situazione della movida a Milano e in Lazzaretto sia definitivamente peggiorata?

“Sicuramente un momento decisivo è stato il lockdown, al termine del quale è stata decisa la concessione dei dehor. Se già prima la situazione non era facile, da quel momento è esponenzialmente peggiorata. I dehor infatti hanno preso l’80% dei parcheggi disponibili in una zona ampiamente carente, determinando non solo la difficoltà di passaggio nelle vie, ma anche in strada, dato che le macchine ora si parcheggiano a lato di queste strutture. Tra l’altro c’è anche una questione di estetica: questi dehor sono nella maggior parte dei casi davvero inguardabili.

La risposta del Comune, in ogni caso, è sempre la stessa: emanare ordinanze che vietano l’uso del vetro e impongono l’utilizzo della plastica. Ma qual è l’impatto di una decisione del genere se si hanno 3.000 persone sotto casa?”

Quali sono le vostre richieste?

“La prima richiesta fondamentale è di essere considerati. Noi siamo partiti da un ragionamento generale, chiedendo di ripensare la nostra città non come un mero contenitore di eventi, ma come un luogo dove le persone vivono e hanno le loro radici.

In secondo luogo bisogna lavorare su una regolamentazione. Nessuno obietterebbe se in una piazza pedonale fossero inseriti dei bei tavolini. Ma le nostre vie sono strette, non è possibile fare dehor su dehor regalando suolo pubblico a un’unica categoria merceologica.

Per quanto riguarda i locali, anche qui, non servono gli steward. Serve che i locali tengano le porte chiuse e si dotino di impianti ben coibentati. Gli avventori dei locali devono stare nei locali, non in strada fino alle quattro del mattino. Anche le Forze dell’ordine possono e devono fare di più per fermare chi è disturbato.

Voglio ribadirlo: la nostra non è una guerra ai locali. Non siamo oscurantisti, non chiediamo coprifuoco e città spente. Chiediamo però regole chiare: il modello per cui migliaia di persone si riversano in strada è sbagliato. Le persone mi dicono di andare a vivere in campagna: ma perché dovrei? I locali qui in Porta Venezia sono sempre esistiti. Ma adesso è troppo, e senza controlli si genera un’escalation di violenza”.

Il problema dunque è che si è permesso a troppi locali di aprire?

“Si, assolutamente. In verità il Comune ha un po’ le mani legate su questo: la direttiva Bolkestein ha infatti liberalizzato le licenze. Il Comune però dovrebbe essere responsabile di avere un progetto per la città. Qui in via Lecco abbiamo, in 200 metri di via, quindici locali, di cui alcuni minuscoli. Mi dica lei se è un numero sostenibile”.

Qual è la situazione invece in merito alla sicurezza?

“Qui c’è un problema di sicurezza enorme: nessuno riesce a entrare nella via, né taxi, né ambulanze, né vigili. La città sta diventando violenta: qui ad esempio sabato scorso hanno sfregiato una ragazza con una bottiglia.

La maggior parte delle persone vengono per divertirsi, ma oramai si sono create le condizioni ideali per spacciatori e aggressori. Anche perché nessuno controlla niente. Micro furti, borseggi e violenze sono aumentati. Scoppiano di frequente risse e accoltellamenti. Questo era un quartiere tranquillissimo, esempio di convivenza e inclusione dagli anni ’50. Ora invece c’è da avere paura nel tornare a casa”.

Quanti residenti hanno partecipato alla causa civile promossa dal comitato Lazzaretto?

Siamo in trentatré, ma stiamo aumentando, nonostante fare causa sia un impegno economico e psicologico importante. Ma se i cittadini arrivano a tanto è perché sono esausti. Noi abbiamo pagato di nostra tasca una perizia fonometrica fatta da periti accreditati al Tribunale. Ebbene, da questa si evince che a casa mia, alle due di notte, c’è il rumore di una fabbrica a piena regime, con oltre 85 decibel. E consideri che 100 decibel sono la soglia del dolore.

Ora noi stiamo, di tasca nostra, pagando la causa. Ma che senso ha che una città costringa i suoi cittadini ad andare in causa con le persone che hanno eletto? È davvero un cortocircuito democratico. Le persone che non vedono non capiscono di cosa parliamo: ma lo assicuro, è l’inferno. Si è snaturato il vivere di una città.

Anche il mercato immobiliare è stato massacrato. Io sono anni che me ne vorrei andare, ma con queste condizioni la casa è invedibile. Nessuna famiglia è disposta a venire qua e portare dei bambini che devono andare a scuola e dei ragazzi che devono tornare a casa la sera senza essere palpeggiati o borseggiati. Ormai abbiamo smesso anche di chiamare le Forze dell’ordine, tanto è inutile. Talmente si è superato il limite che è difficile anche pensare a come tornare indietro. Ma qui si parla di diritto alla salute, un diritto costituzionale superiore a qualsiasi direttiva”.