Sono passati quasi sei anni da quando lo stato italiano ha promulgato una legge che normasse il reato di tortura. Era, più precisamente, il 14 luglio del 2017 e alla presidenza del consiglio sedeva l’attuale commissario per gli affari economici e monetari dell’Unione Europea Paolo Gentiloni, in quota Partito Democratico. Quest’ultimo aveva infatti ricevuto mandato da Sergio Mattarella nel dicembre dell’anno precedente, sostituendo l’allora segretario del PD Matteo Renzi. Alla guida del paese c’era dunque una coalizione di centro sinistra. La legge sul reato di tortura, però, passò anche grazie ai voti di Alternativa Popolare. Sinistra Italiana, Movimento 5 Stelle e Lega si astennero, mentre Fratelli d’Italia e Forza Italia si dichiararono contrari.

Caposaldo della propria macchina propagandistica, il governo attualmente in carica si è dichiaratamente schierato contro il reato di tortura, propendendo per la sua abolizione. A detta del centrodestra, infatti, esso rappresenta una vera e propria minaccia alle forze dell’ordine, che per via della legge n° 110 del 2017 – questo il suo codice di riferimento – correrebbero il rischio di infrangere la legge semplicemente compiendo quello che dalla maggioranza viene considerato l’uso legittimo, e quindi concesso per legge, della violenza.

Per Imma Vietri, FdI, prima firmataria del disegno di legge in discussione alla Camera che prevede l’abolizione del reato di tortura, questo impedirebbe agli agenti di svolgere liberamente le proprie funzioni. Ma in cosa consiste tale reato?

Reato di tortura: cosa prevede e perché spaventa tanto la destra

Il percorso che ha portato alla promulgazione della legge 110 del 2017 ha in realtà inizio due anni prima. Il tutto prese il via infatti nel 2015, quando la Corte di Strasburgo proclamò la sua condanna all’Italia per i fatti relativi al G8 di Genova nel 2001. Da lì in poi è partito l’iter parlamentare che ha portato al DL licenziato il 14 luglio di quell’anno. Il suo contenuto prende le mosse dalla Convenzione dell’ONU ratificata nel 1984, a cui l’Italia ha aderito sin dal 1988 inserendo all’interno del proprio codice penale il reato di tortura. La Convenzione, nello specifico, definiva come tortura

“qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate”.

Il legislatore italiano nel 2017 è andato però più a fondo, specificando meglio la normativa. Prima di tutto, oggi si considera tortura anche un atto considerato non intenzionale. Inoltre, la Convenzione prevede che il torturatore sia esclusivamente un pubblico ufficiale che compie un abuso di potere, mentre in Italia oggi il reato può essere compiuto da chiunque. Ciononostante, gli agenti in servizio sono fortemente attenzionati, tanto che anche nell’ultima legge questi ultimi vengono puniti in maniera estremamente più severa rispetto ai semplici individui. Restano comunque dei limiti nella sua applicazione. Ad esempio, le violenze mentali o fisiche subite devono essere sempre verificabili, cosa non sempre possibile a distanza di tempo.

Reato di tortura: un traguardo storico che ancora oggi fa discutere

Con il voto del 14 luglio 2017, PD e Alternativa Popolare hanno finalmente posto un argine a un problema sistemico del nostro paese. Dalla scuola Diaz fino allo scandalo della questura di Verona, passando per il pestaggio del carcere di Santa Maria Capua Vetere, fino alla tristemente nota vicenda di Stefano Cucchi, l’Italia ha dimostrato in troppe occasioni di non riuscire a controllare la violenza repressiva delle proprie forze dell’ordine.

E non è un caso, allora, che contro la proposta di abolire il reato di tortura avanzata dalla deputata di Fratelli d’Italia Imma Vietri si sia scagliata con più forza di tutti proprio Ilaria Cucchi. La senatrice di Sinistra Italiana, sorella di una delle vittime più emblematiche di questa piaga che affligge il nostro paese, ha sposato con tutta se stessa la questione, per la quale ha promesso di dare battaglia fino all’ultimo.

Nel frattempo, alla Commissione Giustizia del Senato si torna a discutere il provvedimento, grazie al disegno di legge proposto dalla senatrice cinquestelle Anna Bilotti. A differenza della Vietri, tuttavia, la pentastellata vuole apporre delle modifiche per favorire l’applicazione del reato, piuttosto che abolirlo. La questione, però, resta aperta e la partita, com’è giusto che sia in un sistema democratico, è tutta nelle mani dell’attuale maggioranza, che sin dai tempi dei processi relativi al caso Cucchi ha sempre dimostrato di essere estremamente motivata nel voler compiere questo passo indietro storico nella storia dei diritti del nostro paese.