Dal 20 giugno 2023, il libro “Il momento giusto” di Filippo Inzaghi – scritto con il giornalista Giovan Battista Olivero – è nelle edicole. L’attuale allenatore della Reggina, che ha chiuso la stagione regolare al settimo posto con 50 punti, ha reso nota la sua autobiografia edita da Cairo Editore. Oggi, martedì 20 giugno, ci sarà la presentazione ufficiale alla Mondadori in piazza Duomo a Milano. Sulle pagine de La Gazzetta dello Sport, poi, ci sono diversi estratti del libro di Filippo Inzaghi.
Inzaghi: “Allegri non mi voleva più nello spogliatoio”
Ora allenatore della Reggina, Filippo Inzaghi ha scritto la storia recente del Milan e ha contribuito alla vittoria della Coppa del Mondo del 2006 con la Nazionale Italiana. Il piacentino si è raccontato nel libro “Il momento giusto”, che da oggi è nelle edicole. La Gazzetta dello Sport ha pubblicato diversi estratti del libro. Nell’estate del 2012, Filippo Inzaghi si è ritirato dal calcio giocato. Alla base della decisione c’è stato il rapporto pochi idilliaco con Massimiliano Allegri, che allenava il Milan: “Era stato Allegri a chiudere la mia carriera da giocatore. Io e il Milan, infatti, nella primavera del 2012 avevamo trovato un accordo per prolungare di un anno il mio contratto. Io sarei stato un importante collante nello spogliatoio che nel giro di poco tempo aveva perso Maldini, Pirlo, Nesta, Gattuso, Seedorf. Elementi di spessore che avevano lasciato un vuoto profondo. Non avrei accampato alcuna pretesa… Galliani era felice di aver trovato insieme a me questa soluzione. Allegri invece la bocciò, non mi voleva più nello spogliatoio e lo disse al dirigente chiedendo che non mi fosse rinnovato il contratto. Per me fu una mazzata“.
“Ciao Milan ciao San Siro: è stato bellissimo”
Il 13 maggio del 2012, Filippo Inzaghi ha giocato la sua ultima partita con la maglia del Milan. Trecentesima con la maglia rossonera contro il Novara, nel giorno dell’addio a San Siro. Questo il ricordo: “Dettare il passaggio è come un passo di danza a distanza con il tuo compagno: bisogna lavorare bene in coppia, lui deve servirti al momento giusto e tu devi farti trovare al posto giusto. Ci sono tutto io in quest’azione. Parto sulla linea del fuorigioco. Seedorf ha capito in anticipo, il suo lancio è perfetto, io stoppo di petto e mi defilo leggermente sulla destra. Ma non ho bisogno di guardare la porta, non mi è mai servito: io la “sento”. Fontana, portiere del Novara, mi esce incontro con prontezza e mi chiude lo specchio, almeno è ciò che crede. Io faccio una girata di destro e la palla finisce in rete. Impazzisco. Corro sotto la curva, il primo ad abbracciarmi è Nesta. L’ultimo tiro della mia vita è un gol: non ho più alcun dubbio, non mi farò tentare da nessuna offerta, questa è la mia ultima partita. È finita. Prima di tornare a centrocampo mi fermo, mi giro verso i tifosi, mi inginocchio, sollevo la maglia e la bacio. Un bacio commosso, dolce, gonfio di eterna gratitudine. L’arbitro fischia, vedo mio nipote Tommaso correre da me. Lo stringo forte, mi si chiude il cuore. Guardo la mia Sud e la saluto… Ciao Milan, ciao San Siro. È stato bellissimo“.
“Senza calcio ho avuto il mal di vivere”
Una vita dedicata al calcio, dunque, per Filippo Inzaghi. L’attaccante, però, ha vissuto anche momenti bui. Sempre dalle anticipazioni della rosea, il classe 1973 ha raccontato un triste momento, quando aveva lasciato il mondo del calcio. “Nell’autunno del 2015 per la prima volta il pallone era sgonfio: non rimbalzava più. E non riuscii ad assorbire la lontananza dal mio mondo, dal profumo dell’erba, dalla sacralità dello spogliatoio. Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera – ha aggiunto – Andavo in palestra, ma senza entusiasmo, solo per far trascorrere il tempo, riempire la giornata ed evitare che la noia e lo sconforto prendessero il sopravvento. Il mio corpo mi mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente e senza vergogna: ho avuto paura“.
E poi ha aggiunto: “Ho fatto quattro gastroscopie e altre analisi poco piacevoli, viaggiavo sempre con un borsello pieno di cd con ecografie e risonanze che mostravo a vari specialisti. Ho temuto di avere qualcosa di grave, perfino la Sla. Sono stati mesi di disagio e sofferenza, in cui faticavo a trovare una via d’uscita. Qualcuno lo chiama male di vivere, qualcuno in un altro modo, io ho preferito dribblare definizioni e diagnosi e affrontare la realtà. Ho capito qual era il problema e l’ho superato poco alla volta, circondandomi dell’amore della famiglia. I miei genitori sono stati eccezionali: hanno compreso ciò di cui avevo bisogno”.
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