Nonostante siano passati quarant’anni, l’arresto di Enzo Tortora, avvenuto il 17 giugno del 1983, è ancora ricordato come uno dei più grandi (e gravi) casi di errore giudiziario della storia italiana. Un caso che portò in carcere, sulla base di accuse poi rivelatesi false, uno dei più famosi conduttori televisivi dell’epoca, morto poco dopo essere stato scagionato a causa di un tumore contratto qualche tempo prima.
17 giugno 1983 – 2023: 40 anni fa l’arresto di Enzo Tortora a Roma
È il 17 giugno 1983. Da quasi un mese, a Roma, si sono perse le tracce di Mirella Gregori. All’alba, in via del Corso, le immagini scattate da cronisti e passanti catturano Enzo Tortora, uno dei conduttori televisivi più famosi del momento, in manette. È un arresto che fa scalpore, in tutta Italia. Tortora viene prelevato dalla sua stanza dell’Hotel Plaza e portato in caserma, in via dei Selci, nel rione Monti della Capitale.
È accusato di traffico di stupefacenti e associazione di tipo mafioso, per aver fatto parte della Nuova Camorra Organizzata guidata da Raffaele Cutolo. Emerge, fin da subito, che a fare il suo nome sono stati alcuni collaboratori di giustizia: i due camorristi Giovanni Pandico e Pasquale Barra. Quest’ultimo avrebbe raccontato agli inquirenti di aver conosciuto il conduttore in un night milanese e di averlo presentato a Cutolo, che avrebbe poi preso accordi con lui.
Si tratta di un racconto poco credibile ma, per qualche motivo, tutti finiscono per convincersi che l’uomo sia colpevole. I giornalisti lo attaccano. Sulle pagine del Giorno compare un articolo in cui si legge:
C’è ben più di qualche convincimento. Ci sono fatti incontrovertibili. Voi pensate che se i magistrati avessero avuto qualche dubbio su Tortora avrebbero deciso di correre il rischio di fare una brutta figura?
In pochi ipotizzano che sia stato arrestato da innocente. Tra loro, come ricorderà la figlia Gaia, ci sono Vittorio Feltri, Enzo Biagi e Piero Angela.
Gli anni di carcere da innocente
Dell’inchiesta a carico del conduttore si occupano i pm Lucio Di Pietro e Felice Di Persia. Dopo Pandico e Barra, numerosi altri collaboratori di giustizia si schierano contro di lui, facendolo finire in carcere. L’unico elemento di riscontro alle loro dichiarazioni sembra essere in un’agenda trovata nell’abitazione di un camorrista, un certo Giuseppe Puca, in cui sembra si faccia il nome di Tortora.
Si scoprirà solo in seguito che il riferimento era a Vincenzo, detto Enzo, Tortona. E che tutte le accuse di cui era stato incolpato erano false, senza fondamento. Nessuno, in pratica, si era preso la briga di controllare, approfondire la sua posizione, dando per buone le parole di ex camorristi e sorvolando sul fatto che lui, fin dall’inizio, si fosse dichiarato innocente.
Il 17 gennaio 1985 viene condannato a dieci anni di carcere e al pagamento di una multa di 50 milioni di lire. Alcuni dei collaboratori di giustizia che lo avevano incastrato ritrattano, parlando di “uno scherzo”, un piano orchestrato per metterlo in mezzo e ottenere dei benefici. Solo nel 1986, a settembre, viene assolto da ogni accusa “per non aver commesso il fatto” (l’aver preso parte a un’associazione a delinquere di tipo mafioso) e “perché il fatto non sussiste” (lo spaccio di stupefacenti).
Nel 1987 torna in tv e, nel corso della prima puntata della trasmissione “Portobello” pronuncia la storica frase:
Dunque, dove eravamo rimasti?
Lo stesso anno la Corte di Cassazione conferma la sentenza di assoluzione. La sua vicenda giudiziaria si chiude, almeno ufficialmente. Lo segnerà per sempre, fino alla morte, avvenuta appena un anno dopo, il 18 maggio 1988, a causa di un tumore contratto qualche tempo prima.