Una marcia per la legalizzazione dell’aborto ha interessato Varsavia e altre città della Polonia: migliaia di persone hanno partecipato alle proteste contro le dure leggi del Paese. A scatenarle è stato il rapporto del difensore civico per i diritti dei pazienti, Bartlomiej Chmielowiec. Secondo il report una donna di 33 anni, Dorota Lalik, avrebbe potuto salvarsi se le fosse stata praticata un’interruzione di gravidanza. La famiglia della donna e gli attivisti hanno dato la colpa della tragedia alla normativa vigente in materia; mentre, secondo i funzionari, si tratterebbe di un caso di negligenza medica.
Le proteste per il diritto all’aborto in Polonia: “Tutte le donne incinte sono in pericolo”
“Basta ucciderci”, “Tutte le donne incinte sono in pericolo” sono solo alcuni degli slogan che sono apparsi sui cartelloni dei manifestanti scesi in piazza mercoledì 14 giugno. Bartlomiej Chmielowiec ha affermato:
L’ospedale Giovanni Paolo II avrebbe dovuto dire alla 33enne Dorota Lalik che la sua vita poteva essere salvata attraverso un aborto. L’ospedale ha violato i suoi diritti nascondendole le informazioni.
La donna è morta lo scorso 24 maggio presso l’ospedale di Nowy Targ, nel sud del Paese, per una setticemia. Era incinta di cinque mesi e si trovava nella struttura ospedaliera da tre giorni. I medici non l’hanno informata sui rischi che stava correndo, anzi: pensava che tutto si sarebbe risolto. Proprio come testimoniato dal marito della donna:
Nessuno ci ha detto che non avevamo praticamente alcuna possibilità di avere un bambino sano. Per tutto il tempo ci hanno dato false speranze, assicurando che tutto sarebbe andato bene, che nel peggiore dei casi il bambino sarebbe nato prematuro. Nessuno ci ha dato scelta o possibilità di salvare Dorota, perché nessuno ci ha detto che la sua vita era a rischio.
I medici, infatti, sarebbero intervenuti una volta certi che il feto non avesse più battito, ma ormai era troppo tardi.
La legge sull’aborto in Polonia
In Polonia l’aborto è legale solo indeterminati casi: se la gravidanza rappresenta un rischio per la salute o per la vita della donna incinta; oppure se è il risultato di un crimine come lo stupro o l’incesto. Però, nel 2020, i giudici hanno definito incostituzionale l’aborto se sono presenti anomalie fetali. Così alcuni medici, quelli non obiettori di coscienza, hanno timore di intervenire per non incorrere in conseguenze penali.
Nel 2005 l’allora direttore dell’ospedale in cui è morta Dorota Lalik aveva spiegato che nessuno avrebbe praticato degli aborti perché la procedura andava contro la legge di Dio e del Papa. Stando a quanto riferito dal quotidiano polacco ‘Gazeta Wyborcza’, in effetti non sono state praticate interruzioni di gravidanza almeno dal 2018. Marek Wirzba, l’attuale direttore dell’ospedale, oltre a essere un consigliere locale del partito di destra, è stato descritto come “cattolico-nazionalista”.
Marta Lempart, fondatrice di All-Poland Women’s Strike, ha denunciato la situazione nel Paese:
Questa è un’altra morte in ospedale causata dalla decisione dei medici di negare l’accesso all’aborto legale. Abbiamo visto di nuovo dottori mentire e ingannare la famiglia e aspettare passivamente mentre il paziente moriva di setticemia.
Lempart ha organizzato molte delle proteste per il diritto all’aborto, che sono iniziate nel 2020. E Dorota non è l’unica vittima di questo diritto negato: nel 2021 una trentenne di nome Izabela è morta nella città di Pszczyna in circostanze simili. Anche a lei era stato negata l’interruzione di gravidanza, scatenando proteste e attirando anche l’attenzione mediatica su queste leggi restrittive.
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