Prenderà il via il prossimo 26 ottobre il processo d’Appello sull’omicidio di Serena Mollicone, la ragazza di diciotto anni originaria di Arce, in provincia di Frosinone, trovata morta due giorni dopo essere scomparsa, nel giugno del 2001. A fissare la data è stata la Corte d’Assise di Roma, dopo il ricorso presentato dai legali che sostengono i familiari della vittima contro la sentenza di primo grado, che aveva assolto la famiglia Mottola e i due carabinieri indagati per il delitto. Si tornerà dunque in aula.

Omicidio Serena Mollicone, fissata la data della prima udienza del processo d’Appello

A poco più di un anno dalla storica sentenza che, dopo ventun’anni dai fatti, ha scagionato la famiglia Mottola dalle accuse, si tornerà a dibattere, in aula, sull’omicidio di Serena Mollicone, il cui caso è noto con il nome di “delitto di Arce“. Era il 1 giugno del 2001 quando la ragazza, appena diciottenne, scomparve nel nulla dopo essersi recata all’ospedale di Isola del Liri, in Ciociaria, per una visita di routine. In una panetteria nei pressi della stazione aveva comprato quattro pezzi di pizza e quattro cornetti, lasciando intendere di dover vedere qualcuno.

Fu avvistata ad Arce, per l’ultima volta, quello stesso giorno. Due giorni più tardi, il 3 giugno, quando i genitori ne avevano già denunciato la scomparsa, venne trovata senza vita in un boschetto situato in località Fontecupa, una piccola frazione del comune di San Giovanni Campano, a 8 km circa da casa sua. Il corpo era adagiato, in posizione supina, su degli arbusti, con la testa avvolta in un sacchetto di plastica; le mani e i piedi erano stati legati, la bocca e il naso avvolti in diversi giri di nastro adesivo.

Il primo ad essere sospettato del delitto fu un certo Carmine Belli, il carrozziere che, secondo alcune testimonianze, Serena avrebbe dovuto incontrare proprio quel giorno. Nel 2002 l’uomo venne però assolto. Nel 2008 si arrivò alla vera, prima svolta, quando Santino Tuzi, un carabiniere di Arce, raccontò agli inquirenti che lavoravano al caso della ragazza di averla vista entrare nella caserma del paese. Poi si suicidò. O fu spinto a farlo. Nel 2011 l’ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, sua moglie Annamaria e suo figlio Marco vennero iscritti ufficialmente nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

L’assoluzione e il ricorso in Appello

Accertamenti successivi, che prevedettero anche la riesumazione del cadavere della 18enne, confermarono la tesi secondo cui Serena era morta in caserma. Si ipotizzò che la vittima fosse deceduta per asfissia, non prima, però, di aver sbattuto violentemente la testa contro una porta, cadendo priva di sensi, nell’alloggio in uso alla famiglia Mottola, probabilmente dopo aver avuto una discussione con Marco, che conosceva da quando erano piccoli. Nel 2019 si puntò il dito contro altre due persone: Vincenzo Quatrale, all’epoca vice maresciallo della caserma di Arce, accusato di concorso esterno in omicidio e istigazione al suicidio di Tuzi, e il carabiniere Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento.

La sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Cassino li ha riconosciuti tutti innocenti, scagionandoli dalle accuse “per non aver commesso il fatto” e “perché il fatto non sussiste”. I legali che sostengono i familiari della vittima avevano presentato ricorso, chiedendo che si andasse in Appello. Gli stessi Mottola, nel corso di una conferenza stampa, avevano “invitato” gli inquirenti a riaprire il caso e trovare “il vero assassino”. La prima udienza del processo bis si terrà il prossimo 26 ottobre. Sarà l’occasione per vagliare nuovamente le posizioni degli imputati e capire se le motivazioni presentate in primo grado per la loro assoluzione siano o meno convincenti.