Dopo circa sei ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Pisa ha deciso di rinviare la sentenza del processo di primo grado sul caso di Emanuele Scieri, il 26enne siciliano morto in circostanze misteriose il 16 agosto del 1999 in caserma, a Pisa. Gli imputati sono due. Si tratta degli ex caporali della Folgore – la Brigata paracadutisti a cui anche la vittima apparteneva – Alessandro Panella e Luigi Zabara. Su di loro pende l’accusa di omicidio volontario. Prima che vengano condannati o assolti, saranno però ascoltati altri tre testimoni.
Caso Emanuele Scieri, slitta la sentenza: la Corte ha deciso di sentire altri testimoni
La prossima udienza del processo è già stata fissata per il 13 luglio. Prenderà il via, in quell’occasione, l’audizione, da parte della Corte d’Assise di Pisa, dei tre testimoni aggiuntivi sul caso di Emanuele Scieri, il 26enne, parà della Folgore, morto nel 1999 in caserma. È slittata, così, la sentenza che avrebbe dovuto essere pronunciata ieri, 14 giugno.
Gli imputati a processo sono due. Si tratta di Alessandro Panella e Luigi Zabara, ex caporali della Brigata paracadutisti a cui anche la vittima apparteneva. Secondo l’accusa, i due, insieme al sottoufficiale Andrea Antico (assolto con rito abbreviato in primo grado e per cui l’Appello è pendente), avrebbero provocato la morte di Scieri, dopo averlo costretto a denudarsi, averlo picchiato e averlo fatto salire sulla torre di asciugatura dei paracaduti, da dove il 26enne sarebbe poi caduto.
Una versione dei fatti di cui, benché loro si siano sempre dichiarati innocenti, il pm è convinto. Per questo, lo scorso marzo, aveva chiesto che fossero condannati a 24 e 21 anni di reclusione, contestandogli l’aggravante dei futili motivi.
La storia del presunto omicidio
Tutto inizia il 13 agosto del 1999, il giorno in cui Emanuele Scieri – 26enne originario di Ragusa – arriva, dopo essere stato trasferito da un centro di addestramento della Folgore, alla caserma Gamerra di Pisa. Dopo aver sistemato i bagagli, esce per una passeggiata insieme ai colleghi. Rientra alle 22.15, ma alle 23.45 non risponde al contrappello. Scatta così l’allarme. Ma a quel punto è già morto.
Il suo corpo sarà ritrovato solo tre giorni dopo, il 16 agosto del 1999, ai piedi della scala della torretta dismessa usata per far asciugare e “sgonfiare” i paracaduti. Come ci è arrivato? La prima ipotesi è quella del suicidio. Gli inquirenti che lavorano al caso ipotizzano, infatti, che Scieri possa essersi buttato volontariamente dall’alto, morendo a causa del violento impatto. Ma è una versione che non convince.
Ben presto, nel corso delle indagini, emerge tutt’altro: in tanti evidenziano il clima di nonnismo che si respira in caserma. E si fa strada un’altra pista, quella secondo la quale Scieri sarebbe stato spinto a salire sulla torretta sotto minaccia, dopo essere stato picchiato. A confermarlo è l’autopsia, che riscontra sul corpo ferite incompatibili con una semplice caduta. Inoltre, secondo il medico legale incaricato, il 26enne sarebbe morto dopo ore di agonia. In pratica, se fosse stato soccorso, avrebbe potuto essere salvato.
Per questo l’accusa a carico degli imputati è di omicidio volontario. Stando alle successive ricostruzioni, dopo essere rientrato in caserma, Scieri avrebbe deciso di fare due passi lungo il viale che fiancheggia il muro di cinta dell’edificio, da solo, “per fare una telefonata”, come aveva testimoniato un suo compagno. Il cellulare non l’avrebbe mai usato, forse perché colto di sorpresa dai presunti assassini.
La reazione del fratello di Emanuele Scieri
Ho aspettato tanti anni, se questa ulteriore udienza servirà ad arrivare alla verità sulla morte di mio fratello aspetterò con serenità anche il 13 luglio,
ha dichiarato Francesco Scieri, fratello della vittima, dopo aver saputo che la sentenza era stata rinviata.