Il licenziamento ritorsivo è quello effettuato dal datore di lavoro per pura e semplice vendetta e può essere contestato dal lavoratore.
In molti casi, il datore di lavoro può agire in modo scorretto e poco etico del lavoro per liberarsi di un lavoratore dipendente, utilizzando un provvedimento aziendale improprio. Non tutti i dipendenti sanno che possono difendersi, provando che si tratta di un comportamento illegittimo e contestare il licenziamento.

Un lavoratore non può essere licenziato per motivi discriminatori, illegittimi o per vendetta. Nel testo andremo a spiegare nel dettaglio cos’è il licenziamento ritorsivo e come può essere contestato dal lavoratore.

Licenziamento ritorsivo, deve essere contestato dal lavoratore

Il licenziamento ritorsivo avviene quando un datore di lavoro reagisce in modo eccessivo nei confronti di un lavoratore. Non sempre tra azienda e dipendenti corre buon sangue e, in non poche circostanze, si verificano situazioni in cui non è più possibile proseguire il rapporto di lavoro.

Per diverse ragioni, il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro, ma mai per vendetta, ritorsione, discriminazione o, come viene anche definito, per rappresaglia. Il licenziamento ritorsivo può essere effettuato dal datore di lavoro, per esempio, per liberarsi di una “figura scomoda” in azienda. Ci sono tante situazioni che possono portare a conseguenze simili. Prendiamo come esempio un lavoratore che ha fatto valere i propri diritti sul posto di lavoro. Una figura del genere potrebbe pesare sull’azienda e allora essa cercherà una qualsiasi scusa per cessare il rapporto lavorativo.

I lavoratori sono tutelati dalla legge e possono contestare il licenziamento illegittimo da parte del datore di lavoro. Per legge, il licenziamento deve essere fondato su ragioni oggettivi e giustificabili.

In caso di licenziamento non fondato su ragioni oggettive e giustificabili, spetta al lavoratore dipendente provare che si tratta di licenziamento ritorsivo e contestarlo.

L’onere della prova

Il lavoratore dipendente licenziato in modo illegittimo ha il diritto di tutelarsi presso il giudice del lavoro, rispettando la regola dell’onere della prova.
Se il lavoratore dipendente conosce fatti ed è in possesso di elementi che possono dimostrare che il licenziamento effettuato dal datore di lavoro sia ritorsivo, vendicativo, allora ha tutto il diritto di evidenziarli nel corso della causa per far dichiarare nullo il licenziamento.

La nullità del licenziamento si riferisce a tutti quei casi in cui il rapporto di lavoro è considerato come se non fosse mai stato interrotto. Pertanto, la conseguenza è la reintegra sul posto di lavoro, il risarcimento dei danni causati e anche il versamento degli stipendi e dei contributi arretrati.
Tuttavia, nel caso in cui emergano prove ed elementi che il licenziamento sia frutto di una situazione sfavorevole all’azienda oppure causa di comportamenti inappropriati del lavoratore, allora esso sarà considerato non nullo, ma assolutamente legittimo.

Spesso, è difficile distinguere tra il licenziamento ritorsivo e quello legittimo. Pertanto, nella causa l’onere di provare una eventuale situazione di crisi spetta al datore di lavoro. Cosa deve fare per non far dichiarare nullo il licenziamento? Ci sono alcuni elementi che dovrà dimostrare; eccoli in elenco:

  • Riorganizzazione aziendale necessaria e conseguente eliminazione di alcuni posti di lavoro;
  • Impossibilità di assegnare altre mansioni al dipendente;
  • Collegamento tra il licenziamento e la necessità di eliminare quello specifico posto di lavoro.

Licenziamento ritorsivo e discriminatorio, ci sono differenze?

Può accadere di utilizzare come sinonimi i termini licenziamento ritorsivo e discriminatorio. In realtà, nella giurisprudenza si tratta di termini che indicano cose diverse.

Il licenziamento ritorsivo è una conseguenza ad una condotta lecita del lavoratore, ma non gradita all’azienda. Al contrario, il licenziamento discriminatorio avviene quando un lavoratore viene licenziato, per esempio, per motivi discriminatori nei confronti del credo religioso e politico, a causa dell’orientamento sessuale, della lingua e dell’etnia, ma anche a causa di handicap o di convinzioni personali.

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