Fin dall’antichità, il Mediterraneo è stato, per millenni, il centro storico, culturale, commerciale e politico del mondo. Dapprima culla delle grandi civiltà occidentali, poi punto di collegamento tra est e ovest, come testimonia la straordinaria storia della via della seta, che non a caso congiungeva Venezia con la Cina.

Questa centralità è andata progressivamente riducendosi con l’affermarsi di un mondo sempre più policentrico e basato su relazioni globali.

Oggi quello che fu il Mare Nostrum ha ripreso un ritrovata centralità, della quale vale la pena, tuttavia, analizzare alcune caratteristiche.

Se si considera, su una carta geografica, un grande quadrilatero che parte dal nord Europa e si espande ad est fino all’Ucraina, e che scende fino ai Paesi dell’Africa sub-Sahariana, includendo il Medio Oriente, ci si accorgerà di avere individuato una sorta di grande continente verticale, con una popolazione superiore a quelle di India e Cina, e che comprende l’intera Europa e pezzi di Asia e di Africa.

Mediterraneo al centro del continente verticale

Il nuovo continente verticale presenta una caratteristica unica e inquietante: è la zona – relativamente piccola – nella quale si concentrano la gran parte delle guerre, dei conflitti e delle instabilità dell’intero pianeta.

Scendendo da nord-est verso sud, troviamo, infatti, la guerra in Ucraina, i cosiddetti conflitti congelati della regione del Mar Nero e del Caucaso (Transnistria, Georgia, Nagorno-Karabakh), i Balcani Occidentali con le tensioni tra Serbia e Kosovo e le rivalità etniche in Bosnia Erzegovina, un Medio Oriente tuttora caratterizzato da Paesi in conflitto (Israele-Palestina, Siria, Iraq, Arabia Saudita-Yemen), in disastrosa situazione economico-sociale come il Libano, nonché ancora culla del terrorismo islamista e delle storiche rivalità e tensioni tra mondo sciita e sunnita (Arabia Saudita-Iran). Quanto alla porzione di Africa inclusa nel nostro quadrilatero virtuale, non mancano le situazioni che vanno dalla instabilità politica ai conflitti striscianti, alla guerra aperta: Libia, Tunisia, Mali, Niger, Nigeria, Camerun, Repubblica Centro Africana, Congo, Etiopia, Sudan.

Il bacino del Mediterraneo si trova esattamente al centro di questo continente. Un Mediterraneo che non costituisce più un punto di congiunzione e di collegamento tra est e ovest, ma piuttosto una barriera tra nord e sud.

Infatti, nella parte settentrionale troviamo l’Unione Europea, luogo di democrazia, libertà, stabilità, prosperità, pace, mentre la parte a sud-est vede la presenza di regimi prevalentemente totalitari, di limitazioni della libertà, di instabilità, povertà, tensioni e conflitti.

Il Mediterraneo, oggi, fa dunque da spartiacque tra modelli di società, di vita e di benessere completamente opposti. Ha perso la propria vocazione storica di punto di incontro di culture per diventare luogo di separazione, divisione, contrapposizione.

Questo è il contesto nel quale dobbiamo collocare anche il fenomeno dell’immigrazione, che costituisce solo la punta di un iceberg di gigantesche proporzioni.

Piano Marshall e Piano Mattei

Bene, dunque, parlare di lotta alla immigrazione clandestina, di sicurezza dei confini europei, di quote di solidarietà obbligatorie tra i Paesi dell’Unione Europea; bene l’accordo raggiunto in settimana al Consiglio per gli affari interni. Noto, però, un continuo tentativo di contrapporre posizioni politiche che cercano di parlare più alla pancia degli elettori che alla mente di chi deve governare risolvendo alla radice i problemi.

E per risolvere in modo realmente strutturale il problema dell’immigrazione verso l’Europa da Paesi afflitti da guerre, carestie e povertà, bisogna investire nello sviluppo reale del continente africano. Papa Francesco ha più volte sottolineato come si parli sempre di diritto di migrare e mai di diritto a rimanere nelle proprie terre d’origine. E’ questa la vera sfida, oggi.

Ed è proprio l’Europa ad avere, in questo, la maggiore responsabilità, essendo l’unico player globale che si colloca per intero nel continente verticale. Si tratta di giocare fino in fondo una partita destinata anche a limitare e annullare le politiche di neo-colonialismo economico della Cina e le nuove incursioni militari della Russia, attraverso i mercenari della Wagner.

Negli ultimi anni si è parlato, a più riprese, di un piano Marshall per l’Africa; di recente Giorgia Meloni ha evocato il Piano Mattei: entrambe visoni, se mi si permette, ancora parziali.

Il Piano Marshall servì sostanzialmente a ricostruire un continente devastato della guerra; il Piano Mattei punta tutto sull’elemento energetico, di certo un aspetto di importanza fondamentale, ma non esaustivo.

Next Generation Africa

Mi permetto allora di lanciare una suggestione più ambiziosa. L’Unione Europea ha reagito alla pandemia con il Next Generation EU, un piano che ha come obiettivo la creazione di condizioni per uno sviluppo delle prossime generazioni. Del resto, Alcide De Gasperi ricordava spesso lo slogan coniato nell’800 da James Freeman Clarke: “un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”.

Allora perché non pensare ad un Next Generation Africa?

Si potrebbe già partire ottimizzando l’enorme quantità di risorse messe a disposizione per progetti di cooperazione allo sviluppo (molte decine di miliardi di euro all’anno), delle quali spesso si perdono le tracce, o incrementando la collaborazione con la NATO per interventi di addestramento delle truppe regolari al fine di limitare i conflitti armati. Un altro ambito di intervento è l’introduzione di previsioni normative più stringenti sulla Corporate Social Responsibility (responsabilItà sociale d’impresa), attraverso le quali incentivare il reinvestimento in loco di parte dei proventi che le aziende ricavano dallo sfruttamento delle risorse nei Paesi africani. Pratiche che già sono realizzate anche da alcune importanti aziende italiane, e che si collocano concettualmente all’opposto rispetto alla logica sostanzialmente predatoria messa in atto dai cinesi negli ultimi decenni.

Il Governo italiano abbandoni il concetto restrittivo di Piano Mattei e rilanci verso l’Unione Europea con il Next Generation Africa.

Vedremo prossimamente come solo un approccio di questo genere possa disinnescare alla radice le mine del terrorismo, dell’immigrazione clandestina, dei conflitti più o meno striscianti, creando una vera stabilità a sud del Mediterraneo.

Ciò consentirebbe di restituire al Mare Nostrum la sua storica funzione di punto di raccordo e non di barriera che divide mondi contigui.

Un lavoro non facile e non breve, ma bisogna pensare, con Alcide De Gasperi, alle prossime generazioni, e non semplicemente al consenso passeggero delle prossime elezioni.

Paolo Alli (presidente di Alternativa Popolare)

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