Sono passati 40 anni dalla morte di Francesca Alinovi, la critica d’arte e giovane insegnante del Dams uccisa dall’allievo con cui aveva una relazione, Francesco Ciancabilla. Era il 12 giugno del 1983. Un mese prima, a Roma, Mirella Gregori scompariva nel nulla in Vaticano. Pochi giorni dopo sarebbe stata la volta di Emanuela Orlandi. A Bologna il delitto della 35enne lasciò sgomenta un’intera comunità.
Francesca Alinovi, 40 anni dalla morte per mano dell’allievo-amante
Erano anni di grande fervore culturale e nella città emiliana il Dipartimento di Arte, Musica e Spettacolo (Dams) della facoltà di Lettere riscontrava, tra gli studenti, un grande successo. Francesca Alinovi, critica d’arte di 35 anni, vi insegnava Estetica dell’Arte con grande passione. Proprio tra i banchi dell’università aveva incontrato quello che sarebbe diventato il suo assassino, il 23enne originario di Pescara Francesco Ciancabilla. Da allievo, il giovane pittore si era presto trasformato, per lei, in amante. Sul suo diario, in quegli anni, la donna scriveva:
Francesco mi adora, è incontrollabile nella sua adorazione e negli sforzi che sta facendo per conquistarmi.
Inizia tutto così. I due si frequentano, ma Ciancabilla le confida di sentirsi omosessuale, di provare attrazione per gli uomini, oltre che per le donne. Escono, comunque, si divertono, partecipano a eventi d’arte, fanno uso di sostanze stupefacenti (cocaina lei, eroina lui), finché il loro rapporto non inizia ad assumere contorni inquietanti. Una volta si trovano in auto e il 23enne minaccia di buttarsi in un burrone; un’altra la insegue con un paio di forbici: vuole farle del male. La tragedia si consuma, alla fine, nel giugno del 1983.
Il 12 giugno, dopo una serie di segnalazioni da parte dei suoi amici e vicini di casa, Francesca viene trovata morta dai carabinieri all’interno dell’appartamento in cui viveva in via del Riccio 7, nel cuore di Bologna. Il suo corpo è riverso a terra, in una pozza di sangue. Dall’autopsia emerge subito che è morta per dissanguamento. Qualcuno, sostengono i medici legali, l’ha colpita almeno 47 volte con un oggetto contundente, un punteruolo o un coltello. Lei ha provato a difendersi, ma invano. Su una parete, accanto al cadavere, l’assassino ha poi lasciato una scritta: “Your not alone any way” (“Non sei sola”, in un inglese sgrammaticato).
Una sentenza di condanna controversa
Su un interruttore della scena del crimine vengono trovate delle tracce di sangue che conducono, ben presto, al suo allievo-amante. Lui, però, si dichiara innocente, sostenendo che la 35enne fosse sua amica e che non le avrebbe mai fatto del male. In effetti, in primo grado, i giudici lo assolvono, per mancanza di prove: non è possibile stabilire con certezza che le macchie rinvenute appartengano a lui. Appena un anno dopo, il giudizio viene ribaltato dalla Corte d’Appello, che lo condanna a 15 anni di reclusione, poi confermati in Cassazione. Sembra la fine di un caso che ha lasciato l’Italia intera sgomenta. Eppure succede qualcosa: Ciancabilla, di fronte alla sentenza, fugge.
Trascorre più di 10 anni in Spagna, da ricercato. Sarà arrestato solo nel 1997. Una volta liberato è tornato a vivere a Pescara, dove lavora come pittore. Le prove che avrebbero permesso di incastrarlo non sono mai state rianalizzate, lasciando il dubbio che davvero, come ha sempre sostenuto, Ciancabilla possa essere stato condannato da innocente. Dettagli che, a quarant’anni dai fatti, rendono il delitto e la successiva sentenza controversi. Altre tre persone legate al Dams di Bologna, negli stessi anni, furono assassinate. Qualcuno ha ipotizzato che in città si aggirasse un “killer degli intellettuali“. Congetture, voci, che non hanno mai trovato una conferma.