Sono passati quasi quattro anni da quel pomeriggio del 7 agosto del 2019 quando al parco degli Acquedotti di Roma giorno dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli. Leader della Curva Nord, Piscitelli era conosciuto con il nome di Diabolik ed era popolarissimo a Roma e non solo.
Oggi in aula la testimonianza dell’autista
Il giorno dell’omicidio su quella panchina insieme a Piscitelli c’era anche Eliobe Creagh Gomez era l’autista di ‘Diabolik‘ e in tribunale ha ripercorso la sua testimonianza.
Sono parti civili i genitori, il fratello e la sorella di Piscitelli
“Ho visto Fabrizio accasciarsi – ha ricostruito in aula il cubano rispondendo alle domande dei pm Rita Ceraso e Mario Palazzi – mi sono alzato, ho visto una persona che correva con la pistola in mano, una persona sportiva, più alta di me, più di 1,80. Ricordo che aveva qualcosa sul braccio e un pantaloncino fino al ginocchio”.
I dettagli del momento finiscono qui perché è lo stesso testimone a riferire di non ricordare nulla del volto del killer. Gomez ha anche ripercorso il suo rapporto con Diabolik.
“Ho conosciuto Fabrizio Piscitelli tre-quattro mesi prima dell’omicidio. Lavoravo in un bar su via Tiburtina dove l’ho incontrato e sempre lì – ha detto il cubano – ho conosciuto Fabrizio Fabietti. Eravamo in un rapporto di confidenza, di amicizia io sono della Lazio, parlavamo di calcio e ci siamo avvicinati. Da subito abbiamo avuto un bel rapporto, per me rappresentava molto. In quel periodo avevo perso il lavoro, Piscitelli non aveva la patente mentre io guidavo la macchina e ho iniziato a portarlo in giro con la sua jeep Compass. Comunicavamo attraverso la app Signal. La mia mansione era quella di autista, non di bodyguard. Fabrizio non aveva bisogno della sicurezza“.
Per due volte alla stessa panchina dell’acquedotto
Secondo le ricostruzioni al Parco degli Acquedotti Gomez e Piscitelli c’erano stati anche il giorno prima dell’omicidio.
“Eravamo andati al parco, ci siamo seduti sulla stessa panchina e anche in quell’occasione non mi ha detto nulla sul perché eravamo lì. Ma a un certo punto mi ha detto che potevamo andare via perché aveva sbagliato il giorno. E ci siamo tornati il giorno dopo. Fabrizio era tranquillissimo. Ci siamo seduti sulla panchina con le spalle al parco e la strada davanti, lui era alla mia destra e faceva telefonate. A un certo punto ho sentito tre passi che si avvicinano da dietro, di una persona che corre, e ho visto la pistola alla testa di Fabrizio. Poi il colpo esploso, un solo colpo. Mi è caduto il mondo addosso, nessuno si aspettava una cosa del genere”.
La testimonianza è arrivata nell’udienza del processo davanti alla Terza Corte d’Assise di Roma. Per il delitto di ‘Diabolik’ ad oggi vede imputato Raul Esteban Calderon. L’argentino, che segue l’udienza in videocollegamento dal carcere di Larino, è accusato di omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso e detenzione abusiva di armi.
L’uomo avrebbe agito come un killer professionista ma sarebbe stato tradito da alcune riprese che lo hanno immortalato anche il giorno prima l’omicidio.
Un colpo secco e a brucia pelo frutto di un’azione pianificata e messa in atto da mani esperte che apre scenari molto complessi sul caso. Anche perché gli inquirenti sembrano essere lontani dall’individuare il movente che ci cela dietro il delitto.
Lo stesso imputato Calderon è stato rinviato a giudizio lo scorso 5 dicembre. Dopo che era stato arrestato nel dicembre del 2021 dopo l’inchiesta condotta dai pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, coordinati dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calo’.