Ci sono voluti nove anni, ma finalmente il responsabile della sparizione di Sibora Gagani ha un nome e un cognome: si tratta dell’italiano arrestato in Spagna, protagonista della confessione decisiva al ritrovamento del corpo. La vicenda risale al 2014 e ha avuto luogo a Torremolinos, vicino Malaga.

La giovane, allora 22enne, scomparve senza lasciare traccia e non fu mai più ritrovata. Fino allo scorso martedì 6 giugno, quando la polizia spagnola ha rinvenuto il corpo di una donna nascosto nel muro di un appartamento. Il successivo esame del Dna sui resti è stato decisivo nel portare all’agghiacciante conferma: si trattava proprio della ragazza italo-albanese scomparsa.

Un ritrovamento non casuale: gli inquirenti, secondo i media spagnoli, si sono mossi su indicazione dell’ex fidanzato della ragazza. Il suo nome è Marco Gaio Romeo, oggi 45enne, originario di Nettuno, vicino Roma. Avrebbe confessato alle forze dell’ordine di averla uccisa. Avrebbe poi occultato il corpo in una cassa di legno, nascosta tra due pareti dell’appartamento che all’epoca condivideva con l’ex fidanzata.

Spagna, la confessione dell’italiano arrestato: era finito in manette per un altro femminicidio

La svolta dell’indagine è arrivata quasi dal nulla lo scorso 17 maggio. Proprio in quell’occasione il Romeo era stato arrestato con l’accusa di aver ucciso a coltellate la sua ultima compagna. Si tratta di una giovane di nome Paula, 28enne spagnola, con cui il killer ha anche avuto un figlio.

A quel punto gli investigatori hanno notato delle somiglianze con il caso del 2014. E così hanno iniziato a sospettare il coinvolgimento dell’uomo anche in quella vicenda. Messo sotto torchio dagli agenti, alla fine il mostro ha confessato. Decisive le ispezioni del 6 giugno, giorno in cui i militari si sono recati nella casa dove l’omicida e l’italo-albanese avevano convissuto.

Un sistema a raggi X ha permesso di identificare il cadavere nascosto durante la perquisizione dell’appartamento. Proprio nel punto in cui l’ex aveva indicato di cercarla. Accanto c’era ancora l’arma del delitto, un coltello insanguinato. Una vicenda inquietante e oscura, sulla quale dopo 9 anni la giustizia è riuscita a far luce.