Nuova condanna per i fratelli Bianchi, già in carcere per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte. I due, finiti all’ergastolo in primo grado per aver pestato a morte il 20enne italiano di origini capoverdiane nel 2020, sono accusati di spaccio di sostanze stupefacenti. Avrebbero messo in piedi, secondo la Cassazione, una “capillare attività”, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione di cocaina.

La Corte ha confermato una condanna a quattro anni e sei mesi ciascuno per Marco e Gabriele Bianchi: i reati contestati sono quelli di spaccio e tentata estorsione. Ad inchiodarli sono state le intercettazioni: chi indaga ha rilevato in particolare un vero e proprio scambio di battute in codice in relazione alla quantità di stupefacenti. Tali quantità, in particolare, venivano definite usando termini quali “magliette piccole”, “magliette grandi” e “felpe”.

Nuova condanna ai fratelli Bianchi, già in carcere per l’omicidio di Willy Monteiro: giudici dimostrano “professionale attività di spaccio”

Durante gli interrogatori, secondo quanto rilevato dalla sentenza, i clienti dei due fratelli hanno reso “dichiarazioni palesemente reticenti e timorose“. La Cassazione ha dunque confermato la responsabilità dei due imputati per i reati di spaccio e la tentata estorsione. La condanna originale, stabilita dal Tribunale di Velletri, è stata ridotta a quattro anni e sei mesi.

I giudici hanno escluso la versione relativa ad una “lieve entità dei fatti”, sostenendo l’esistenza, da parte dell’organizzazione dei Bianchi, di cessioni di cocaina “reiterate nel tempo e senza una sostanziale soluzione di continuità”. La Cassazione ha dunque dimostrato “una non occasionale ma professionale attività di spaccio”. Seppur immesse “di volta in volta e in quantità modica sul mercato”, le quantità di droga erano “considerevoli”. Così il ricorso della difesa è stato dichiarato “inammissibile”. I fratelli Bianchi, che stanno scontando la pena in due carceri diversi, dovranno anche versare tremila euro alla Cassa delle ammende. I giudici hanno contestato loro la mancanza di solidi motivi per appellarsi alla Suprema Corte.