Nella crisi dei Balcani non c’è lo zampino di Mosca. Parola di Giorgio Fruscione, analista ISPI e responsabile Desk Balcani, che è intervenuto nella trasmissione radiofonica “Base Luna chiama Terra” condotta da Lorenzo Capezzuoli Ranchi in onda su Radio Cusano Campus.
Balcani, una crisi con radici antiche
- Dottor Fruscione, iniziamo cercando di definire bene questa zona: dove iniziano e dove finiscono i Balcani?
“Questione annosa. Tracciare confini è difficile, oltre alla geografia è una questione di definizione terminologica. Quello che oggi ci interessa è la definizione data dall’Unione Europea, che utilizza Balcani occidentali intendendo Paesi dell’ex Jugoslavia che non sono membri dell’Unione Europea più l’Albania. Quindi Bosnia, Albania, Serbia, Montenegro, Kosovo e Macedonia del Nord”.
- Cos’è che ha scatenato nuovamente queste tensioni?
“Ci sono radici storiche. Quello che abbiamo oggi davanti è lo strascico della guerra delle targhe che era culminata con la fuoriuscita dei serbo kosovari dalle istituzioni nello stato del Kosovo in segno di protesta. Si resero necessarie nuove elezioni per rimpiazzare i sindaci nelle municipalità dove i serbi sono la maggioranza. Il voto è stato boicottato e quindi l’elezione è stata l’espressione dei soli cittadini albanesi. Il 3% degli aventi diritto ha eletto sindaci di etnia albanese. Si tratta di una questione che mescola sia elementi identitari – il Kosovo è anche storicamente la culla della civiltà serba- ma c’è anche un elemento di attrito che è la legittimazione politica: è una questione importante per Pristina. Il boicottaggio è una forma di protesta”.
- Dal 2020 esiste un accordo di normalizzazione economica ma non mi sembra che stia andando bene.
“Quello è l’accordo mediato dalla Casa Bianca, eravamo nel rush finale della campagna statunitense. Faccio fatica a definirlo accordo. Fu più che altro una dimostrazione assertiva della politica estera americana nel quadrante medio orientale. È stata una dichiarazione d’intenti. Le due parti si impegnavano a spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e altre questioni che non hanno neanche mirato a normalizzare la questione, fu un accordo di facciata che vide Trump come pacificatore”.
- Una sua analisi parla della guerra come di un suicidio. Meglio minacciare la guerra piuttosto che farla, qual è l’utilità della strategia della tensione? E come potrebbe evolvere sul lungo periodo?
“Si preferisce spaventare circa l’imminenza di questo nuovo conflitto. E lo fa sia da un punto di vista nazionale che politico-partitico, soprattutto nel caso della Serbia. La stessa dinamica si ripropone a livello locale nel nord del Kosovo. C’è un forte controllo della causa nazionale che si sovrappone all’elettorato. Sicuramente da parte di Belgrado c’è un controllo più o meno diretto, anche le tensioni di una settimana fa c’è la possibilità che siano state controllate dalla Serbia centrale. C’è sicuramente un forte controllo da parte della Serbia”
Fra ingerenze e una nuova Ucraina?
- Nella crisi dei Balcani c’è un tema a livello internazionale: quello degli attori che stanno sullo sfondo. Si parla molto spesso di Unione Europa e delle leve che si potrebbero utilizzare, ma quali sono queste leve e le forze sul campo?
“Siamo portati a ritenere la Russia come responsabile di queste tensioni, ma la Russia non ne è coinvolta anche se ne risulta essere il maggior beneficiario. Queste tensioni non fanno che tenere lontana la regione dall’UE. L’UE è uno degli attori più importanti e si è posta come l’unico attore geopolitico in grado di poter risolvere la questione, con la sponda degli States che sono in grado di far adottare decisioni al governo di Pristina. Per Kurti è una scelta tra il proprio elettorato e rinunciare ad un partner indispensabile, promotore e garante dell’indipendenza del Kosovo. Le cancellerie occidentali stanno cercando di chiedere al primo ministro del Kosovo Albin Kurti di fare un passo indietro”.
- La Turchia sembra essere la forza che sta arrivando a supporto del blocco occidentale, può essere utile la sua mediazione? I Balcani si possono trasformare in un’Ucraina 2.0?
“Escludo uno scenario ucraino dai Balcani, sono scenari diversi. Il Kosovo non è nella NATO ma la NATO è in Kosovo da diversi anni. Relativamente alla Turchia: Erdogan può mediare ma non credo voglia farlo. Ci sono degli interessi turchi nella regione ma quella che viene spacciata per neo ottomanesimo è improntata sul pragmatismo. Non sono d’accordissimo sul ruolo della Turchia come mediatore anche se ne avrebbe gli strumenti”.