La scienza va avanti, si continua a studiare e si continua a scoprire. La diagnosi di tumore al seno spaventa, ma tantissimi sono i passi avanti che sono stati fatti in questi anni sull’argomento e soprattutto sul modo di affrontare la malattia. Le donne colpite sono tante, troppe. Ma il dato che preoccupa di più e deve far pensare è che l’età media si è abbassata notevolmente nel tempo. È per questo che diventa fondamentale tutelare la possibilità di avere un figlio. Per parlare di gravidanza e cancro al seno, in esclusiva a Tag24, è intervenuta la dottoressa Giuliana D’Auria, oncologa ed esperta di oncofertilità all’Ospedale Pertini di Roma.

La gravidanza dopo un cancro al seno

Il cancro terrorizza, modifica il corso della vita. Sono tantissime le donne a cui viene diagnosticato un tumore al seno. Cosa fare allora? Reagire. Il primo pensiero, come è normale che sia, è sempre quello della vita e di conseguenza l’obiettivo numero uno è la guarigione. Ma dopo aver archiviato la prima fase, le pazienti devono poter riprendere in mano il proprio destino e il proprio futuro. Per questo è diventato necessario rispondere a una domanda: ma dopo un cancro al seno si può avere una gravidanza? “La risposta è sì” dice subito la dottoressa Giuliana D’Auria a Tag24, che poi continua: “Non esiste nessuna controindicazione medica che ci dica il contrario. Gli ultimi studi vanno a sfatare un grande mito secondo cui una gravidanza può stimolare la ripresa di cellule tumorali. Invece la scienza in maniera incontrovertibile ci dice che restare incinte, dopo il cancro della mammella è sicuro. E lo è anche per quelle donne che sono portatrici di mutazione genetica”.

Vanno proprio in questa direzione tutte le attenzioni dei medici rispetto all’argomento. “Affinché una donna possa guardare in maniera serena al progetto di vita e di famiglia, seppur futuro – ha spiegato l’oncologa dell’ospedale Pertini – è importante che ci si occupi della paziente a 360 gradi sin dal momento della diagnosi. Per questo sono fondamentali le Brest Unit all’interno degli ospedali. Ci si deve porre, sin da subito, il problema della preservazione della fertilità. È chiaro che le cure che mettiamo in campo, la chemioterapia su tutte, vanno ad incidere su questo aspetto. Bisogna muoversi con la crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico. Il Lazio in questo senso è all’avanguardia e ha dei centri specializzati importanti. L’ospedale Pertini è il centro di riferimento”.

Gli ultimi studi

La dottoressa D’Auria, per tranquillizzare le pazienti oncologiche, racconta la sua esperienza e riporta i dati degli ultimi studi. “Negli ultimi anni ho seguito 5 o 6 donne che hanno portato gravidanze a termine e lo hanno fatto al meglio. Il dato innovativo presentato al San Antonio, che è il congresso più importante sul cancro alla mammella e si fa in America, ci dice che si può anche interrompere la terapia ormonale per avere un figlio. Questo non espone a rischio di recidive. In questo studio hanno arruolato più di 500 donne e il 74% di loro ha portato a termine una gravidanza con 316 bambini nati. Non ci sono eccessi di malformazione. La cura ormonale – specifica l’oncologa – di base dura 5 anni ma può essere più lunga e purtroppo l’età media delle donne che vengono colpite si è abbassato. È per questo che può essere necessario interrompere”.

Poi la dottoressa rincara aggiunge: “Dobbiamo fare attenzione, è una partita che le donne si giocano all’inizio. Non possiamo non pensarci. I medici devono guardare nella direzione in cui le pazienti in quel momento non guardano. All’inizio pensano solo a guarire e a salvarsi, ed è giusto. Ma quando la fase peggiore è passata poi è giusto che pensino anche al futuro. La crioconservazione viene fatta in maniera preventiva – conclude l’oncologa D’Auria – ma le donne, dopo aver sospeso la menopausa clinica, possono provare a fare un figlio anche in maniera naturale. È per questo che le ovaie vengono messe a riposo durante la chemioterapia”.