Ennesimo voto di fiducia alla camera da parte del governo Meloni oggi alla Camera per il DL sulla pubblica amministrazione. Una prassi consolidata in tutti i governi degli ultimi vent’anni che però fa storcere il naso a coloro che ripongono le speranze democratiche nella discussione costruttiva.

Da Renzi a Draghi, da Conte a Berlusconi, fino a Monti e ora Meloni

Analizzando i dati delle ultime legislature OpenPolis ha rilevato come sia una prassi consolidata per ogni governo. Il più attivo è stato sicuramente il governo Renzi con 66 voti di fiducia. Seguono l’esecutivo di Mario Draghi con 55, Mario Monti con 51, Berlusconi con 45, Conte II con 36, Gentiloni con 32, Conte I con 15, Letta con 10.

Il calcolo però andrebbe ponderato riguardo alla durata dell’esecutivo stesso. Infatti facendo un calcolo rispetto ai giorni l’uso più frequente riguarda il governo Draghi con un voto di fiducia ogni 9,5 giorni, Conte II ogni 13 giorni, mentre Renzi passa ad un voto ogni 15 giorni, Berlusconi ogni 28 giorni.

Il governo Meloni segue la tendenza

Un metodo tipico di questa seconda repubblica quindi, una prassi che anche il governo Meloni ha usato per consolidare la propria strategia legislativa. Con il voto di oggi, 5 giugno, i voti di fiducia del governo Meloni salgono a 20 in 226 giorni di legislatura dal 22 ottobre ad oggi.

Il dato che più salta all’occhio è quello relativo ai primi mesi di governo dopo l’insediamento. Dopo i primi mesi di ambientamento, solo in gennaio, il governo ha posto la questione di fiducia per ben 5 volte in 21 giorni.

Praticamente un voto di fiducia che nei numeri somiglia a quello del governo Draghi. Peccato però, che il quello Meloni sia un governo politico mentre quello Draghi era tecnico e con una maggioranza variegata e obbligata a stare insieme.

Quando il voto di fiducia toglie libertà

Come primo compito la ‘fiducia’ serve all’insediamento del governo. Mentre, come nel caso in analisi, durante la legislatura il voto di fiducia è voluto dal governo per attuare il proprio programma politico, scommettendo con gli alleati sulla propria permanenza.

Fin qui tutto regolare anche perché la ‘fiducia’ non è prevista dalla Costituzione ma solo dai regolamenti di Camera e Senato. Il problema sorge quando viene posta dal governo non su un disegno di legge ma su un proprio maxi emendamento. Tagliando fuori ogni tipo di discussione in merito.

L’ampio ricorso ai decreti legge per dare attuazione al proprio programma o al voto di fiducia anche per disegni di legge viene troppo spesso scambiato per necessità di velocizzare il processo legislativo. Questo però appare alquanto ingannevole e riduce drasticamente la prerogative legislative del parlamento. 

Tutto questo fa si che le possibilità di apportare modifiche al testo restino bloccate. Così facendo infatti, nessun emendamento sarà accettato e l’unico vero momento di confronto in aula sarà quello delle dichiarazioni di voto.

In queste situazioni il governo tenderà ad escludere il parlamento da qualsiasi proposta di modifica. E se il parlamento proverà a ostruire il tutto, basterà porre la fiducia ad un maxi emendamento che sostituisce completamente il progetto di legge perché il tutto si risolvi come vuole l’esecutivo.