Non è facile comprendere quanto sta accadendo tra Kosovo e Serbia se non si parte da una rapida retrospettiva sulla intricata situazione dei Balcani occidentali
Situazione Kosovo Serbia oggi
La vecchia Jugoslavia costituiva un coacervo di numerose etnie, era divisa in sei repubbliche e due province autonome (tra le quali quella del Kosovo) e fu tenuta insieme per oltre quarant’anni dalla dittatura del maresciallo Tito. Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dello stato federale nel 2003, la Jugoslavia si sciolse dando origine all’attuale frammentazione della regione in otto Paesi. Due di questi sono membri sia della Unione Europea che della NATO (Slovenia e Croazia), altri tre hanno aderito alla NATO (Albania, Montenegro e Macedonia del Nord), uno è aspirante alla entrata nella NATO (Bosnia Erzegovina).
Sono ufficialmente candidati all’adesione all’Unione Europea Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia.
Solo il Kosovo non ha avviato alcuna procedura di adesione, né alla NATO né alla UE. Del resto, il Kosovo è una repubblica autoproclamatasi indipendente dalla Serbia nel 2008, riconosciuta solo da poco più della metà dei 193 Paesi dell’ONU, tra i quali anche l’Italia. Fra le nazioni che non ne riconoscono l’indipendenza, capitanate da Cina e Russia, si contano cinque Paesi membri della UE: Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia, Spagna. Questi Paesi hanno, al proprio interno, questioni che l’eventuale riconoscimento del Kosovo potrebbe far precipitare: basta pensare alla Spagna, alle prese con le spinte indipendentiste di Catalunya e Paesi Baschi.
La complessità di questo contesto politico è aggravata dai complessi intrecci tra le quattro principali etnie della regione: croati, serbi, bosniaci, albanesi.
Il Kosovo rappresenta certamente il punto di maggiore debolezza. Con oltre il 90% della popolazione di etnia albanese, è in conflitto con la Serbia da 25 anni. La guerra del Kosovo durò dal febbraio 1998 al giugno 1999 e, successivamente, si trascinò, con intensità variabile, fino ad oggi. E’ un conflitto che affonda le proprie radici in una storica contrapposizione tra albanesi e serbi fin dall’epoca dell’impero ottomano, acuitasi alla fine dell’800 e caratterizzata da fasi anche violente, con vere e proprie pulizie etniche.
Nel 1999 venne istituita la missione KFOR (Kosovo Force) a guida NATO su mandato delle Nazioni Unite. Si tratta della più lunga missione NATO, tuttora in corso con oltre 3000 uomini sul campo. KFOR ha consentito, in questo lungo tempo, di mantenere sotto controllo le tensioni che si sono a più riprese manifestate. E’ importante sottolineare come il comando annuale della missione, negli ultimi 12 anni sia stato affidato per ben 11 volte a generali italiani: un segno della grande professionalità dei nostri uomini e un riconoscimento allo straordinario equilibrio di cui essi sono stati capaci nell’affrontare un conflitto anomalo, perché molto prima culturale che squisitamente militare. Professionalità ed equilibrio che ho avuto più volte occasione di toccare con mano personalmente nelle mie diverse visite nel Paese.
Le conseguenze della guerra in Ucraina
Oggi, la guerra in Ucraina riaccende molti fronti di conflitto ovunque nel mondo. Purtroppo, violenza chiama violenza, instabilità genera altre instabilità. In una regione caratterizzata da una influenza russa ancora forte, soprattutto in Serbia, non c’è da stupirsi che riprendano tensioni solo apparentemente sopite. La Russia e la Cina sostengono da sempre Belgrado contro Pristina, e non è certo un caso che Mosca arrivi ora ad accusare apertamente la NATO di fomentare i contrasti. E’ invece sotto gli occhi di tutti come proprio la missione KFOR stia consentendo, ancora una volta, di evitare il degenerare delle tensioni in aperto conflitto. Ma Putin ormai ci ha abituati a rileggere la storia con la sua lente di ingrandimento deformata e deformante, al punto di dimenticare che la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che istituì la missione internazionale fu, a suo tempo, votata anche dalla Russia (e dalla Cina).
L’attuale crisi tra Serbia e Kosovo è stata certamente scatenata da un atteggiamento irresponsabile da parte dei due governi di Belgrado e Pristina, preoccupati di soddisfare gli istinti nazionalisti dei propri popoli piuttosto che di impegnarsi per una mediazione efficace, ma va certamente letta in un contesto più ampio. Gli scontri degli ultimi giorni, che hanno provocato anche il ferimento di militari NATO, costituiscono, infatti, la testimonianza di un inasprimento del conflitto al quale non sono estranee le dinamiche innescate dalle nuove alleanze che si vanno prefigurando a livello geopolitico globale.
Il ruolo dell’Europa
Il fatto grave per l’Europa è che tutto ciò avviene nel cuore del nostro continente e mostra, purtroppo, la scarsa capacità dimostrata finora dalle istituzioni comunitarie di mettere in pratica operazioni di vera pacificazione e stabilizzazione. Il continuo ritardo nelle trattative per l’adesione alla UE di Paesi come la Bosnia Erzegovina e la stessa Serbia lascia spazio ad altri attori che riempiono il vuoto lasciato dall’Europa: Russia, Cina, Arabia Saudita, Turchia. Mantenendo accesi, a pochi chilometri da noi, pericolosi focolai che costringono ancora a mettere a rischio le vite degli uomini della NATO, in uno sforzo di prevenzione che eviti lo scoppio di autentici massacri o di pulizie etniche delle quali purtroppo la memoria è ancora troppo viva.
L’Europa non sarà completa finché gli interi Balcani Occidentali non ne faranno parte: questo è uno dei più importanti e sottovalutati problemi che abbiamo alle nostre porte e che la UE deve affrontare con decisione. Tenere sotto controllo la situazione in Kosovo è il minimo, ma bisogna andare oltre per creare le condizioni di una stabilità duratura.
Non è una sfida facile, ma dobbiamo rendercene conto prima che sia tardi, prima che altri soggetti più forti e meno democratici di noi si incuneino nel drammatico vuoto di potere e di responsabilità che da troppi anni caratterizza questo angolo del mondo.
Paolo Alli (presidente di Alternativa Popolare)
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