Un colloquio molto importante quello avvenuto al telefono, qualche giorno fa, tra papa Francesco e il presidente brasiliano Lula (che riuscì a comunicare con il papa anche durante la sua prigionia), che lo ha invitato a visitare per la seconda volta il Brasile.

Telefonata tra Papa Francesco e Lula, i contenuti

Tre i temi al centro della lunga telefonata: la guerra in Ucraina, la difesa dell’Amazzonia e la povertà che è tornata ad abbattersi sul grande Paese sudamericano dopo l’infausta presidenza di Bolsonaro. Innanzitutto la guerra in Ucraina, sulla quale si è registrata un’ampia convergenza di vedute tra il presidente e il papa sudamericani. Entrambi equidistanti tra America e Cina ed entrambi equidistanti tra Russia e Ucraina, e dunque propensi a mettere in opera una mediazione che porti ad una pace cosiddetta “saggia”, che cioè alla fine riconosca a Putin una parte di territorio ucraino conquistato dagli invasori, piuttosto che una pace giusta, che riconosca all’aggredito, e cioè all’Ucraina, il diritto alla piena integrità territoriale e alla libertà. E’ questa la posizione, del resto, comune al “Global South” (di cui il Brasile è autorevole parte), che considera quella tra Russia e Ucraina una guerra che riguarda soprattutto l’Occidente, accusato peraltro di non interessarsi agli altri 59 conflitti che insanguinano il mondo, e verso il quale aumenta il risentimento del Sud Globale. Un risentimento per tanti aspetti comprensibile, ma non condivisibile, perché questi Paesi (che rappresentano i due terzi della popolazione mondiale) sottovalutano il carattere “globale” della guerra contro l’Ucraina, capace di diventare un moltiplicatore di conflitti, soprattutto se dovesse confermarsi che l’aggressione paga e che l’Ordine mondiale liberal-democratico non esiste più. Ma proprio perché non riconosce il diritto all’indipendenza e all’integrità territoriale dell’Ucraina, fermamente rivendicato dal piano di pace di Zelensky, l’offerta di mediazione avanzata dal Vaticano e dal Brasile non presenta quasi alcuna possibilità di successo. Anche se esse rimangono importanti per cercare di svelenire il clima e creare le precondizioni per una futura mediazione, che veda come protagoniste la Cina e gli Stati Uniti.

La situazione dell’Amazzonia

Molto importante anche il colloquio sull’Amazzonia, alla quale Francesco ha dedicato un Sinodo e una potente Esortazione Apostolica, la “Querida Amazonia”. La situazione della più grande foresta pluviale del mondo, cruciale per le sorti del Pianeta, continua a versare -nonostante la nuova presidenza di Lula- in gravi condizioni. Nei primi tre mesi dell’anno, infatti, la foresta amazzonica ha perso un’area pari all’estensione della Val d’Aosta. Ma fatto più inquietante, è che il governo Lula sta portando avanti l’approvazione della micidiale legge 490 (nota come “Marco temporal”) -già passata alla Camera bassa- che restringe gravemente il diritto dei Popoli indigeni ai loro territori. In sostanza, gli indios non possono rivendicare la titolarità dei diritti sulle loro terre (riconosciuti dalla Costituzione), se non provano che vi abitano almeno dal 1988, anno del varo della Carta Costituzionale. E purtroppo non basta, perché il ministro dell’Agricoltura di Lula ha promesso di aumentare l’esportazione della carne degli allevamenti che stanno distruggendo l’Amazzonia, mentre lo stesso Lula ha illustrato un progetto che prevede autostrade, dighe e centrali elettriche all’interno della foresta, nonché un piano per l’estrazione petrolifera alla foce del Rio delle Amazzoni. Il risultato è che i popoli indigeni, nonostante la creazione di un apposito ministero loro dedicato e affidato a un’ india, quasi cominciano a rimpiangere Bolsonaro e si stanno sempre più appellando al mondo perché difenda la grande foresta e il loro diritto alla sopravvivenza. Papa Francesco è sicuramente a conoscenza di questa situazione, e certamente avrà ribadito al presidente brasiliano -dall’incerto profilo ecologico- l’assoluta priorità di preservare il “polmone verde” del pianeta, e di fermare il genocidio degli indigeni.

Raffaele Luise per la rubrica VaticanoMondo