L’omicidio del 18enne tunisino avvenuto alla Stazione di Reggio Emilia è solo l’ultima, tragica tappa di un percorso di degrado, abbandono e violenza che va avanti da decenni, nell’assenza delle istituzioni. Un cittadino ci racconta come si è arrivati a questa situazione.

Reggio Emilia e il 18enne tunisino assassinato a coltellate alla stazione, un cittadino denuncia: “Situazione che dura da vent’anni”

Reggio Emilia è ancora sotto shock per il brutale omicidio di un ragazzo di appena 18 anni, di origini tunisine, avvenuto nella stazione cittadina di piazzale Marconi nella notte tra il 30 e il 31 maggio. Un episodio di violenza che ha sconvolto l’intera comunità di uno di quei centri dell’Emilia Romagna in cui tutti si conoscono, legati dall’appartenenza a un territorio che si vorrebbe vivere con attaccamento e passione.

Episodi di questo genere, tuttavia, producono l’esatto contrario: paura, angoscia, isolamento. Soprattutto se si protraggono nel tempo, come spiega Davide Curti, metalmeccanico e cittadino di Reggio Emilia che da anni denuncia il degrado della città e della zona della stazione in particolare. Intervistato da Tag24, Curti dichiara che “la situazione è così da quasi vent’anni. Quando andavo a scuola, negli anni ’90, quella della stazione era una zona bella, nel cuore della città”.

Una storia di integrazione fallita

“Ogni sera c’è una rissa”.
Curti spiega che l’origine dei problemi sia stata la svendita di alcuni appartamenti nella zona circostante la stazione, a seguito del fallimento della ditta Degola e Ferretti. “Sono stati svenduti agli extracomunitari che vengono in città per lavorare”, dice il cittadino reggiano che, però, segnala come questo abbia prodotto la creazione di un vero e proprio ‘quartiere ghetto’, senza che gli stranieri potessero integrarsi con il tessuto cittadino.

La realtà quotidiana vede “i ragazzi seguiti finché sono minorenni, ma abbandonati a se stessi appena raggiunta la maggiore età”. A mancare è, dunque, un meccanismo di integrazione efficace e realmente applicato, al di là della retorica e delle parole di circostanza. Un sistema che aiuti questi ragazzi a inserirsi nelle scuole e, dopo, a imparare un mestiere.

Le istituzioni di Reggio Emilia minimizzano: “Un problema di mentalità, non si vuole la presenza delle forze dell’ordine”

Una problematica sulla quale a colpire è il silenzio delle istituzioni. Curti sostiene che una soluzione potrebbe essere un presidio fisso nell’area della stazione, che faccia da deterrente per le situazioni più pericolose.

Un’idea che si scontra con le posizioni dell’amministrazione comunale e, in generale, con la mentalità diffusa sul territorio. I fatti dei ‘Martiri del 7 luglio’, infatti, sono ancora impressi nella memoria cittadina. L’uccisione, da parte delle forze dell’ordine, di cinque operai durante una manifestazione sindacale, il 7 luglio 1960, ha reso quel territorio restio ad accettare una presenza costante delle forze dell’ordine.

Tutto questo in un contesto, spiega Curti, caratterizzato da istituzioni e media che minimizzano e non denunciano fatti “che vanno contro alcuni interessi di un sistema consolidato da decenni, per paura di ritorsioni”.

Il modello sicurezza di Modena che sarebbe da seguire a Reggio Emilia

Concludendo il suo ragionamento, Curti sottolinea come a Modena, che dista solamente una trentina di chilometri da Reggio, la situazione sia totalmente diversa, con “la Polizia Municipale che, da tempo, si occupa di presidiare alcune zone e intervenire direttamente“.

L’ostacolo, ancora una volta, sembra essere l’approccio a questo tipo di problematiche. Curti racconta, infatti, della proposta di un consigliere comunale il quale “riteneva che gli agenti in stazione dovessero essere disarmati e più simili ad assistenti sociali“.

Un problema di mentalità, dunque, mentre le persone, soprattutto anziani, che vivono nelle case intorno alla stazione, hanno paura.

reggio emilia stazione (2)

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