Pensioni, ripartono a giugno i tavoli della riforma 2024, dopo lo stop di quattro mesi: l’obiettivo principale è quello di individuare una misura per il prossimo anno in grado di sostituire quota 103, che terminerà la sperimentazione il prossimo 31 dicembre. Il governo guidato da Giorgia Meloni, che proprio nella giornata di ieri ha annunciato il riavvio dei tavoli di trattativa delle pensioni, dovrà evitare che la spesa previdenziale continui ad aumentare nei prossimi anni ai ritmi di quanto previsto fino al 2025, cioè di oltre il 7 per cento all’anno. Probabilmente ci sarà bisogno di riequilibrare le pensioni anticipate, la cui media nel 2022 è stata di 61,4 anni, in discesa di 0,2 rispetto all’anno precedente.
Il riavvio dei nuovi tavoli di riforma delle pensioni sarà accompagnato dall’insediamento dei 15 tecnici che comporranno l’Osservatorio della spesa previdenziale istituito presso il ministero del Lavoro. A tal proposito, il nuovo organismo dovrà supportare l’attività di riordino delle pensioni con proposte che siano compatibili con la tenuta dei conti pubblici.
Pensioni riforma 2024, uscite anticipate a 61,4 anni: ipotesi quota 103 bis
Con la ripartenza dei tavoli di riforma delle pensioni per il 2024, l’obiettivo del governo di Giorgia Meloni è quello di riprendere il percorso che porterà alla legge di Bilancio del prossimo anno con almeno una misura ponte in sostituzione di quota 103. La misura che permette l’uscita anticipata a 62 anni unitamente ad almeno 41 anni di versamenti contributivi, terminerà la sperimentazione il prossimo 31 dicembre, dopo un periodo di 12 mesi in cui le uscite con questa opzione, tutto sommato, sono state finora abbastanza contenute. Da questo punto di vista, il governo potrebbe ritenersi soddisfatto soprattutto perché l’aumento della spesa previdenziale, stimata di oltre il 7 per cento all’anno fino al 2025, non può essere attribuita alla misura introdotta con la legge di Bilancio 2023, ma alle precedenti.
La quota 102 e, soprattutto, la quota 100 hanno prodotto un aumento eccessivo delle spese previdenziali, che possono continuare a produrre effetti postumi anche per il diritto cristallizzato di uscita. Chi ha raggiunto i requisiti di quota 100 entro il 31 dicembre 2021, anche se ha continuato a lavorare, può comunque decidere di avvalersi dell’opzione e andare in pensione. Tuttavia, secondo gli ultimi dati sulla spesa previdenziale, il maggiore impatto sull’aumento delle uscite si può attribuire all’indicizzazione dei trattamenti di pensione all’inflazione. C’è da attendersi un ulteriore incremento anche nel prossimo anno quando si andranno a ritoccare le pensioni sull’inflazione del 2023: ad oggi, il tasso provvisorio è quello del 2,7 per cento.
Pensione anticipata, poche speranze per la quota 41 nel 2024
Se si aggiunge che la quota 41 – cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini – sarà un obiettivo difficilmente raggiungibile già dal prossimo autunno, salgono le quotazioni per una riconferma di quota 103 anche nel 2024, eventualmente rivista, oppure di un’altra misura ponte che possa prevedere meccanismi di uscita anticipata anche nel prossimo anno. Molto, a tal proposito, dipenderà dai suggerimenti e dalle conclusioni ai quali giungerà l’Osservatorio della spesa previdenziale, soprattutto tenendo conto che, nonostante la fine di quota 100 di qualche anno fa, le uscite sono ancora più anticipate e l’età media del 2022 si è attestata a 61,4 anni rispetto ai 61,6 anni del 2021.
Il dato arriva dal Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2023 della Corte dei conti: i giudici contabili vedrebbero di buon occhio una riconferma di quota 103 o di altre misure di flessibilità in uscita, ma hanno recentemente ammonito le parti sui rischi a cui si andrebbe incontro con il superamento integrale della riforma Fornero.
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