Scontri in Cina, nella provincia dello Yunnan, dove è in opera la ‘sinicizzazione’ di una moschea che sarebbe la ragione dietro alla quale si sono verificati scontri tra polizia e Hui. Così nella contea di Tonghai, nella Repubblica Popolare Cinese, è in corso una dura repressione delle proteste sul piano di ristrutturazione, che vuole imporre la ricostruzione della cupola di una moschea “in stile cinese”. Gli scontri sono avvenuti all’esterno della moschea di Najiaying (纳家营清真寺), nella città di Nagu, nella contea di Tonghai, nella provincia dello Yunnan (云南省通海县纳古镇), area in cui l’etnia Hui musulmana è in maggioranza rispetto al resto del Paese. Sono state tagliate le comunicazioni e censurata su Weibo la ricerca “Najiaying Mosque”. Rimosse anche le parole arabe sulle insegne dei negozi musulmani.
Cina, la ‘sinicizzazione’ di una moschea provoca scontri
Il 27 maggio i fedeli islamici si sono dati appuntamento davanti alla moschea per cercare di bloccare le autorità che avevano disposto l’abbattimento della cupola. Di giorno e di notte, sit-in, manifestazioni, scioperi e altre attività sono state organizzate dai protestanti di religione islamica nel tentativo di proteggere la struttura da eventuali modifiche permanenti. Dai video che circolano online si vedono gli agenti in tenuta antisommossa che usano scudi per bloccare l’accesso ai manifestanti, che nel frattempo lanciano sassi e pietre contro la polizia. Alcuni manifestanti, inoltre, sono riusciti a rompere le impalcature che erano adibite proprio per permettere i lavori di demolizione della facciata.
La moschea di Najiaying risale al XIII secolo ed era un luogo di culto musulmano ispirato a un tempio in stile cinese. L’attuale edificio è frutto di un rinnovamento risalente al 2004, con la realizzazione di una cupola in stile arabo e quattro torri. La struttura può contenere fino a 3mila persone per la preghiera. Oggi la moschea è un importante luogo di culto per la comunità musulmana locale.
In Cina è in corso una profondissima opera di ‘sinicizzazione’ per rafforzare il controllo sul culto. Infatti l’unico credo al quale si deve adempiere è quello imposto dal Partito Comunista Cinese, ovvero predicare l’ideologia del Partito e seguire il pensiero di Xi Jinping, reinterpretando i “valori socialisti di base”. Negli ultimi anni Pechino ha imposto ulteriori restrizioni nello Xinjiang – una delle regioni più controllate del mondo – e si stima che oltre un milione di persone siano rinchiuse nei cosiddetti “campi di rieducazione”, strutture nelle quali il lavaggio del cervello per l’imposizione dei canoni del Partito sono all’ordine del giorno. I campi hanno l’obiettivo di snaturare le etnie che vi vengono rinchiuse tra le quali spopolano gli uiguri e i kazaki. Le autorità hanno negato l’esistenza dei campi, affermando che quelle che vengono definite strutture di incarcerazione sono in realtà scuole per la formazione professionale e per contrastare l’estremismo (islamico).