A poco più di un anno dall’omicidio della compagna Romina Vento a Fara Gera D’Adda, la Corte d’Assise di Bergamo ha condannato Carlo Fumagalli a 22 anni di reclusione. Nell’aprile del 2022 l’uomo si lanciò con l’auto nel fiume, provocando la morte per annegamento della donna. Poche ore dopo confessò il delitto, sostenendo di aver agito perché lei avrebbe voluto lasciarlo. Una decisione che non era riuscito ad accettare, compiendo l’estremo gesto.

Omicidio di Fara, condannato a 22 anni di reclusione Carlo Fumagalli

Il 50enne, reo confesso dell’omicidio della compagna, dovrà trascorrere in carcere i prossimi 22 anni. Stamattina, presso la Corte d’Assise di Bergamo, ha ascoltato il verdetto dei giudici in piedi, davanti alla madre e al fratello della vittima, che, al processo, si sono costituiti parte civile insieme ai due figli minorenni della coppia e al primogenito, Thomas, nato da una precedente relazione. Ai figli, di 12 e 17 anni, dovrà anche versare una provvisionale di 250mila euro ciascuno come risarcimento dei danni. 100mila e 90mila quelli richiesti, invece, per la madre e il fratello di Romina che, dopo la lettura della sentenza, hanno commentato con gioia, parlando con i cronisti, la notizia.

Quel poco di giustizia che c’era da fare è stata fatta,

ha dichiarato, commosso, il fratello a Bergamo News. Lui e la madre stanno cercando di assicurare ai figli della coppia una vita per quanto possibile “normale”, tenendoli fuori dalla vicenda ed evitando di farli soffrire ulteriormente. La loro paura è che la pena di 22 anni – chiesta dal pm Carmen Santoro, che aveva equiparato l’aggravante del rapporto di convivenza con la vittima, da ergastolo, alle attenuanti generiche riconosciutegli per aver confessato il delitto ed essersene pentito – potesse essere ridotta.

La ricostruzione del delitto

I fatti risalgono al 12 aprile del 2022. Fumagalli era depresso, ma sarebbe stato pienamente capace di intendere e di volere, secondo i giudici, quando si lanciò con la sua auto nel fiume Adda, con la compagna sul sedile del passeggero, provocandone la morte per annegamento. Si costituì poche ore dopo il delitto, confessando di aver agito perché non era in grado di accettare il fatto che Romina volesse lasciarlo, come lei stessa le aveva detto qualche mese prima nel corso di una comune seduta di psicoterapia. L’uomo aveva iniziato ad andarci in un momento “no”, per cercare di recupare il rapporto con la compagna, che sembrava allontanarsi sempre di più.

Poi, a un certo punto, aveva iniziato a partecipare anche a lei. E, verso gennaio, aveva ammesso di fronte al professionista che, pur continuando a volergli bene, non lo amava più. Una notizia che aveva gettato l’uomo nel più totale sconforto, facendolo cadere ancora di più nella depressione. Fino a quando non aveva deciso di interrompere la terapia, pensando di dimostrare maggiore forza. Le cose, invece, erano precipitate.

Non andavo più nemmeno a trovare i miei, dopo il lavoro andavo subito a casa, la assillavo cercando di riconquistarla, ma lei si sentiva soffocare ed ho peggiorato la situazione. Lei aveva il diritto di essere felice e io gliel’ho tolto,

aveva confessato dopo agli inquirenti. Preso da un raptus, pur di non perderla, alla fine l’aveva uccisa. Facendo del male, indirettamente, anche ai loro due figli minorenni, ora affidati alle cure della nonna e dello zio. Le forze dell’ordine, allertate da alcuni residenti dell’area – che avevano sentito le urla -, lo avevano trovato mentre vagava accanto al fiume. Dopo aver annegato la compagna, che non sapeva nuotare, era riuscito a raggiungere la sponda del corso d’acqua e a mettersi in salvo. Ma avrebbe accettato anche di morire, aveva detto poi.