La strage della funivia del Mottarone del 23 maggio 2021 avrebbe potuto essere evitata. È quello che sembrano dire le carte del fascicolo processuale rilasciate dalle parti dopo l’avviso della chiusura delle indagini, che hanno rinviato a giudizio sei persone, oltre alla società coinvolta nella gestione dell’impianto incidentato e a quella che si occupava della sua manutenzione. A pesare sulla situazione ci sarebbe un esposto che, già nel lontano 2015, avrebbe messo in luce i problemi di sicurezza della funivia, facendo particolare leva sull’utilizzo dei “forchettoni” a bloccare i freni di emergenza, quelli che avrebbero potuto salvare i passeggeri dopo la rottura della fune traente.

Strage della funivia del Mottarone: un esposto nel 2015 denunciava i problemi di sicurezza dell’impianto

L’eposto confluito nel fascicolo processuale porta la firma di Alfredo Macrì Del Giudice, all’epoca dei fatti consigliere di minoranza del comune di Stresa. A citarlo è l’Agi, che fa sapere come, all’interno del documento, già nel 2015 si mettessero in luce i problemi di sicurezza dell’impianto. Oltre all’utilizzo dei forchettoni – una pratica quindi usuale ben prima dell’incidente del 2021 -, si parlava anche della mancanza di manutenzione della funivia.

Il concessionario avrebbe trascurato la sicurezza dell’impianto. Il freno di emergenza della cabina sarebbe stato mantenuto non funzionante, bloccato,

avrebbe scritto Macrì. E avrebbe aggiunto:

Sarebbe stata omessa la sorveglianza dell’impianto e le funi sarebbero arrugginite.

In pratica, stando alla denuncia, negli anni precedenti la società concessionaria della funivia – Funivie del Mottarone – non si sarebbe curata dell’impianto, facendolo diventare un “rottame impresentabile” e rendendolo poco sicuro, nel “totale disinteresse di chi aveva il dovere e l’obbligo di vigilare”. Si tratta di accuse pesanti, che però lasciarono il tempo che trovarono: il consigliere non ottenne, infatti, nessuna risposta. Nel 2019 la Procura di Torino – a cui era stato indirizzato l’esposto – aprì un fascicolo a carico di ignoti solo per il reato di turbativa d’asta. Tra le atre cose, infatti, Macrì aveva messo in luce alcune incongruenze nella gara d’appalto per la revisione generale e la gestione della funivia.

La conclusione delle indagini

Per il resto, il suo esposto finì nel dimenticatoio. Venne riesumato a dieci giorni dall’incidente che, il 23 maggio del 2021, provocò la morte di 14 persone a causa del crollo della funivia. Fu la Procura di Verbania ad interessarsene, chiedendo spiegazioni a Torino. Dal capoluogo risposero che il procedimento aperto si trovava ancora in fase di indagini preliminari. Si tratta di dettagli importanti, perché non fanno che confermare l’ipotesi, sostenuta dall’accusa, che la strage avrebbe potuto essere evitata.

Stando a quanto emerso nel corso delle indagini, chiuse a due anni dai fatti, l’incidente si sarebbe infatti verificato a causa di due fattori concomitanti: la rottura della fune traente della funivia e la mancata attivazione del freno di emergenza, che avrebbe potuto calmierare le conseguenze del primo evento dannoso. Il freno non si attivò proprio a causa della presenza dei forchettoni a cui si accenna anche nell’esposto del 2015. Significa che il loro utilizzo era una consuetudine e che la società che gestiva l’impianto – già accusata di incuria all’epoca – avrebbe continuato a non occuparsi della sua corretta manutenzione.

Sono otto, in totale, tra persone fisiche e non, gli indagati per la strage. Oltre alle due società che gestivano e si occupavano del mantenimento della funivia, finiranno a processo anche Luigi Nerini, Enrico Perocchio, Gabriele Tadini, Anton Seeber, Martin Leitner e Peter Rabanser. Tutti, a vario titolo, sarebbero coinvolti nell’incidente. Delle 15 persone a bordo della cabina numero 3 – quella precipitata – solo una riuscì a sopravvivere all’impatto: il piccolo Eitan, di cinque anni, che nella tragedia perse i genitori, il fratellino e i bisnonni.