Si terrà a New York, alla fine, il processo riguardante la morte di Claudio Mandia, il 17enne di Battipaglia morto suicida nella notte tra il 16 e il 17 febbraio del 2022, alla vigilia dei suoi 18 anni. La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha infatti respinto il ricorso con cui la società che gestisce il college presso cui la vittima studiava aveva chiesto di spostare il procedimento in Svizzera, dove si trova la propria sede legale. Una notizia che i familiari del giovane, da sempre convinti che l’istituzione abbia avuto un ruolo nella sua morte, hanno accolto con gioia. La loro speranza è quella di riuscire a fare chiarezza sull’accaduto, restituendo giustizia a loro figlio.

Suicidio di Claudio Mandia a New York: verso il processo negli Stati Uniti

Per i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America il caso riguardante la morte di Claudio Mandia deve restare sotto la giurisdizione americana. Non ci sarebbero infatti motivi validi per spostare il procedimento da New York alla Svizzera, come era stato richiesto dalla società che gestisce il college presso cui la vittima studiava e si è suicidato, facendo leva sul fatto che la propria sede legale si trovi a Zurigo. Una notizia accolta con positività dai genitori del ragazzo.

Siamo estremamente soddisfatti e pronti a partire perché giustizia sia fatta. Viva Claudio, sempre,

hanno dichiarato. A riportarlo è La Città di Salerno, che sottolinea come più volte i due abbiano fatto sapere di essere convinti del coinvolgimento dell’istituto nel suicidio di loro figlio.

La storia del 17enne di Battipaglia

Claudio Mandia aveva 17 anni e frequentava l’ultimo anno di liceo alla EF Academy di Thornwood, nello stato di New York, quando, nella notte tra il 16 e il 17 febbraio dello scorso anno si tolse la vita all’interno della sua stanza. Qui, secondo quanto ipotizzato in seguito, sarebbe stato tenuto in isolamento per quattro giorni per aver copiato da un compagno nel corso di un compito in classe di matematica. Una punizione dura, che ha sempre spinto i suoi genitori a puntare il dito contro la struttura, ritenendola coinvolta nel suicidio. Accusa che a sua volta l’istituto ha sempre respinto.

Claudio, che era in attesa dell’arrivo della sua famiglia (in occasione del suo compleanno, ndr), soggiornava in una stanza del dormitorio studentesco non chiusa a chiave e in nessun momento è stato messo in isolamento, senza interazioni sociali o accesso ad altre risorse e strutture della scuola. Siamo certi che l’organizzazione e le persone premurose con cui lavoriamo abbiano agito in ogni momento in modo appropriato,

avevano fatto sapere a Fanpage.it. Sarà il procedimento, ora, ad accertare eventuali responsabilità di terzi. L’obiettivo dei familiari di Claudio – che hanno sempre lamentato negligenze da parte della struttura (pare che loro figlio avesse già tentato il suicidio, senza che fossero presi provvedimenti, anche di tipo psicologico) – è fare chiarezza. La speranza è non solo quella di risolvere il caso, ma anche che episodi simili possano non verificarsi più. Soprattutto in ambienti che dovrebbero avere a cuore e proteggere i ragazzi, come l’istituto alle cui cure Claudio era stato affidato. E che invece, secondo i genitori, l’avrebbe messo in pericolo, facendo nascere in lui pensieri suicidi sfociati poi nell’estremo gesto.

Solo pochi giorni prima i due si erano messi in contatto con la tutor responsabile del dialogo scuola-famiglia, mettendo in evidenza i problemi di ambientamento del figlio. La risposta era stata “Non vi preoccupate, sta bene”. Poi, una volta scesi dall’aereo che li aveva porti negli Usa per festeggiare il suo 18esimo compleanno, un funzionario li aveva accolti e aveva dato loro la tragica notizia.