Dopo 20 anni dall’omicidio della cugina Giusy a Manfredonia, ha chiesto perdono alla famiglia per quanto accaduto Giovanni Potenza, l’uomo condannato a 30 anni per il delitto. I fatti risalgono al 12 novembre del 2004. La ragazza, appena 14enne, era uscita di casa senza fare più ritorno: dopo la denuncia di scomparsa presentata dai genitori, gli inquirenti avevano trovato il suo corpo senza vita su una scogliera. Le indagini avevano portato all’arresto del cugino, anche se il movente non è mai stato accertato con chiarezza.

Omicidio Giusy Potenza, il cugino condannato chiede perdono dopo 20 anni dai fatti

A quasi vent’anni dai fatti che hanno portato alla morte della giovane, l’uomo condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione – detenuto dal 2004 – ha deciso di chiedere perdono alla famiglia per quanto commesso. A farlo sapere è il legale che assiste i familiari della vittima, Innocenza Storace, che ha riportato anche la risposta del nonno materno. Lui, dice, “sarebbe disposto a perdonare l’assassino di sua nipote solo se rivelasse chi sono i suoi complici”. Fin dai primi istanti successivi all’omicidio in molti hanno ipotizzato che Giovanni Potenza potesse essere stato aiutato da qualcuno. Qualcuno che poi, nel corso del processo, avrebbe deciso di coprire. Ne è convinta Storace.

Anche sotto il profilo giudiziario, sebbene il processo si sia concluso con una pesante condanna, molti elementi emersi nel corso del procedimento già all’epoca dei fatti portarono a ipotizzare la presenza di complici,

ha dichiarato. Nonostante la condanna inflitta all’allora 27enne, la famiglia è quindi intenzionata a fare chiarezza, smascherando eventuali complici del killer.

La ricostruzione del delitto

I fatti risalgono al 12 novembre del 2004. A Manfredonia, un piccolo comune in provincia di Foggia, in Puglia, è pomeriggio, quando Giusy Potenza esce di casa. Non fa rientro per cena, i genitori si preoccupano. Temono che possa essere scappata, che possa trattarsi di una bravata di quelle che si fanno in adolescenza. Ma della ragazza sembra essersi persa ogni traccia. Il giorno successivo ne denunciano la scomparsa. Poco dopo, nel corso della mattinata, arriva la terribile notizia: il suo corpo è stato ritrovato senza vita su una scogliera poco distante da un ex stabilimento. La comunità locale è sconvolta.

Tutti si chiedono chi possa averle fatto del male. E perché proprio a lei. Dai primi rilievi appare chiaro che la 14enne è morta dopo essere stata colpita ripetutamente con un grande sasso, in seguito a un rapporto sessuale. Si indaga. Si sentono i suoi familiari, i suoi amici e conoscenti. Fin quando qualcuno non parla di un appuntamento che Giusy avrebbe avuto, proprio il giorno della sua scomparsa, con un cugino di secondo grado, il cugino del padre, Giovanni Potenza. 27 anni, pescatore di professione, Potenza ha una moglie e due figli, di 2 e 8 anni, e non ci mette molto a confessare: è stato lui, ammette, ad averla uccisa.

Erano amanti, aggiunge. L’ha fatto perché temeva che Giusy – a suo dire follemente innamorata di lui – potesse svelare qualcosa alla moglie, mettendo a rischio il suo matrimonio. Più volte, infatti, l’aveva minacciato di raccontarle tutto: voleva che lui la lasciasse e che si costruissero una vita insieme. Ma lui voleva “proteggere la sua famiglia”. La notizia si diffonde. In molti diranno che si trattò del primo “femminicidio mediatico”, messo in risalto dalla stampa. I genitori di Giusy, straziati dalla perdita, fanno fatica a sopportare il peso dell’accaduto. La mamma si toglierà la vita un anno dopo, incinta di sette mesi. Una tragedia nella tragedia. Poco dopo il 27enne sarà condannato a 30 anni di detenzione. Ma c’è chi ancora reclama giustizia.