Trent’anni fa, il 27 maggio del 1993, poco dopo l’una del mattino, in via dei Georgofili a Firenze si consumò una strage che ancora oggi viene ricordata purtroppo in maniera particolare. Una grande esplosione nei pressi del Museo degli Uffizi portò alla distruzione della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia che dà il nome alla via della strage, in cui sono morte 5 persone. Trovarono la morte Angela Maria Fiume, la custode dell’Istituto, e gli altri membri della famiglia Nencioni: il marito Fabrizio e le figlie Nadia (9 anni) e Caterina (2 mesi).

La quinta vittima fu Dario Capolicchio, studente universitario di 22 anni. Il bilancio drammatico comprende anche 48 feriti. La bomba provocò anche ingenti danni al patrimonio storico-artistico della zona, colpendo la Chiesa dei Santi Stefano e Cecilia e il complesso monumentale degli Uffizi. Andarono distrutti alcuni prestigiosi dipinti e fu danneggiato circa il 25% delle opere presenti nel museo.

Il “periodo delle Stragi”: come siamo arrivati alla tragedia di Georgofili

L’esplosione del 27 maggio, causata da una miscela esplosiva piazzata in una vettura parcheggiata sotto la torre dei Pulci, si inserisce all’interno del cosiddetto “periodo delle Stragi” orchestrate dalla mafia, aperto significativamente dalla strage di Capaci e dalla strage di via D’Amelio. Questo periodo ricomprende anche la bomba che colpì, il 27 luglio 1993, il Padiglione di Arte Contemporanea (PAC) di via Palestro a Milano e, il giorno successivo, le esplosioni nei pressi della Basilica di San Giovanni in Laterano e della chiesa di San Giorgio al Velabro. In questi tre attentati, furono numerosi i feriti (più di venti) e significativi i danni a edifici e luoghi di culto, ma nessun morto, a differenza della strage di via dei Georgofili.

Sempre nel 1993, e precisamente il 14 maggio, avvenne l’attentato di via Fauro, che aveva come obiettivo Maurizio Costanzo: il giornalista, che ci ha lasciato pochi mesi fa, si salvò, ma 24 persone rimasero ferite. Il “colpo di coda” di questa stagione stragista contro lo Stato si ebbe il 23 gennaio 1994 con il mancato attentato allo Stadio Olimpico di Roma: la bomba non esplose per un contrattempo.

Secondo quanto stabilito in sede processuale, i mandanti e gli autori materiali della strage di via dei Georgofili erano mafiosi intenzionati a muovere guerra allo Stato. Una guerra che prendeva le forme di una precisa strategia di tipo terroristico ed eversivo, cambiando le modalità e le finalità adottate fin da quel momento da Cosa Nostra. Il fine di questo cambio di modi di azione era “costringere lo Stato alla resa davanti alla criminalità mafiosa”.

La strage di via dei Georgofili e la mafia contro il 41-bis

Il tutto si lega anche alla reazione dello Stato ai fatti del ’92: da un lato, si erano definite le norme sul carcere duro per i mafiosi (il tanto discusso 41-bis); dall’altro lato ci si era mossi per favorire pentiti e collaboratori di giustizia. L’idea dietro a tutto ciò, da parte dello Stato, era colpire la “presunzione di onnipotenza e di libertà” dei capimafia. Si trattò di una svolta nell’atteggiamento dello Stato, a cui conseguì, come si è visto, una svolta nell’atteggiamento e nelle modalità operative della mafia, che rispose con la volontà di provocare all’Italia “lutti e distruzioni a non finire“.

Un trafficante di opere d’arte mostrò alla mafia i motivi ben validi, dal loro punto di vista, per attaccare il patrimonio artistico nazionale, un attacco che avrebbe comportato una ferita non rimarginabile: “Ucciso un giudice, questi viene sostituito; ucciso un poliziotto, avviene la stessa cosa. Ma distrutta la Torre di Pisa, veniva distrutta una cosa insostituibile, con incalcolabili danni per lo Stato”.

I trent’anni dalla strage di via dei Georgofili, ma in più in generale dalla stagione delle stragi, quest’anno hanno una valenza e un’importanza doppia: è il primo anniversario che si celebra dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, il boss mafioso condannato all’ergastolo per la strage di Firenze. Trent’anni e oltre, dunque, di lotta contro la mafia.