Anche per l’economia USA, la prima a livello mondiale, gli effetti negativi scaturiti dall’aumento dei tassi d’interesse imposti dalla Federal Reserve Bank, necessari per affrontare il rapido e dannoso aumento dei tassi d’inflazione che ha colpito l’economia a stelle e strisce, iniziano a mostrare i primi segni negativi. Se si aggiunge il macigno del debito pubblico da rifinanziare, operazione analoga alle manovre di scostamento di bilancio dei governi italiani, per il quale negli USA è necessaria l’approvazione del congresso; il rischio default appare come uno spettro negativo sull’andamento dell’economia degli Stati Uniti d’America.
Dal covid-19 alla crisi delle banche, la tempesta che non risparmia l’economia USA
L’economia degli USA è certamente la più solida a livello mondiale, ma la tempesta che si è abbattuta sulla finanza globale nell’ultimo triennio non ha risparmiato, dai suoi duri colpi e dagli strascichi, neanche la finanza a stelle e strisce.
Dal 2019 la pandemia da Covid-19 si è diffusa rapidamente anche oltreoceano, costringendo di USA ad adottare nel 2020 dure ma necessarie, regole per il contenimento della diffusione dell’epidemia. Queste misure, come in molti alti paesi del mondo, si sono tradotte nell’adottare rigidi lockdown che hanno costretto le popolazioni a restare chiusi in casa, limitando al minimo le attività extra-lavorative. Tutto ciò si è tradotto in un crollo improvviso dei consumi di migliaia di americani, il che ha aumentato la capacità di risparmio di molte famiglie; aumentano la giacenza economica sui conti correnti.
Con i consumi scesi ai minimi storici e l’ampia disponibilità economica accumulata sui conti correnti, la Federal Reserve Bank, per fornire un impulso all’economia, decise di abbassare i tassi d’interesse. I bassi tassi d’interesse imposti, negli USA dalla Federal Reserve Bank cosi come in Europa dalla Banca Centrale Europea (BCE), hanno creato le condizioni tali per cui, sia per le famiglie sia per i piccoli e medi investitori, il costo del denaro era relativamente basso; in altre parole l’indebitamento con istituti bancari, attraverso prestiti, costava relativamente poco.
Con la fine di lockdown, sia negli USA sia nel resto del mondo, si è assistito a una forte ripresa dei consumi; in breve tempo, il forte aumento dei consumi, ha iniziato a generare uno squilibrio tra la domanda di beni e servizi e l’offerta sul mercato. In pochi mesi, lo squilibrio tra la domanda e l’offerta si è trasformato in un aumento progressivo dei prezzi; l’inflazione, definita come la perdita di potere d’acquisto, iniziava la sua lunga corsa.
Il ventiquattro febbraio del 2022, con l’invasione russa dell’ucraina, l’economia mondiale era sull’orlo di una vera e propria tempesta perfetta. In poche settimane, l’instabilità geo-politica dettata dal conflitto militare ai confini dell’Europa, e il conseguente aumento dei prezzi delle materie prime energetiche, trainava, come una locomotrice a piena potenza, l’inflazione verso livelli tali da segnare record storici.
Negli USA l’instabilità sui mercati finanziari, provocata dall’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche e dalle tensioni geo-politiche in atto, determinava un rapido aumento dell’inflazione che variava dall’8.3% di aprile 2022, fino al dato record del 9.1% rilevato a giugno del 2022. Con un aumento così repentino i bilanci finanziari, sia delle famiglie sia delle piccole e medie imprese, erano seriamente erosi dall’aumento dei prezzi. Per interrompere, o quantomeno rallentare l’aumento dell’inflazione, la Federal Reserve Bank impose l’aumento dei tassi d’interesse passando allo 0.5% registrato ad aprile 2022, fino al 4% rilevato a fine del 2022; quando l’inflazione aveva invertito la tendenza, iniziando progressivamente la discesa fino al valore del 6.5% rilevata a dicembre 2022.
Nei primi mesi del 2023 l’inflazione, sotto l’effetto dell’aumento dei tassi d’interesse imposti dalla Federal Reserve Bank, continuava la sua discesa passando dal 6.4% rilevato a gennaio, al 6% di febbraio e al 5% di marzo.
Lo stress-test subito dagli istituti bancari americani, sottoposti alle difficoltà di gestire le politiche monetarie durante i lunghi mesi caratterizzati da alti tassi d’inflazione, nei primi mesi del 2023 ha iniziato a mostrare le prime debolezze di piccoli e medi istituti bancari esposti a rischi insolvenza.
A marzo del 2023 la Silvergate Bank e poi la Signature Bank, entrambe attive nel settore delle cripto valute, hanno dichiarato il loro default tecnico.
Il dieci marzo la Silicon Valley Bank (SVB), istituto di credito californiano specializzato nei finanziamenti delle Start-Up, registra il secondo più grande fallimento della storia finanziaria degli USA; il peso dell’aumento dei tassi d’interesse dei nuovi titoli di stato americani a lungo termine, nei quali l’istituto bancario californiano aveva investito la liquidità delle Start-Up, ha generato la perdita di capitalizzazione con l’impossibilità di sostenere emissioni sul mercato per garantirsi liquidità.
Pochi giorni dopo il default della Silicon Valley Bank, definito inizialmente il secondo più grande fallimento della finanza a stelle e strisce dopo il caso Lehman Brothers del 2008, l’economia statunitense è colpita da un nuovo crack finanziario di entità superiore; destinato a essere considerato, a pochi giorni dal default della Silicon Valley Bank, il secondo più grande fallimento della storia della finanza americana.
La First Republic Bank, l’istituto bancario con sede a San Francisco specializzata in servizi di gestione patrimoniale, a seguito del default della Silicon Valley Bank subisce, dalle società di valutazione del credito Fitch Ratings e S&P, il declassamento del rating creditizio a causa dell’elevata percentuale di depositi creditizi non assicurati.
Il report pubblicato, dalle due società di rating, diffonde velocemente il panico tra gli investitori. In poco tempo i titoli quotati in borsa dell’istituto bancario perdono valore, gettando l’istituto in una vera e propria crisi finanziaria che terminerà il primo maggio del 2023 quando, la multinazionale statunitense JP Morgan Chase & Co rileva l’intera First Republic Bank garantendo la completa copertura dei conti correnti.
Economia USA e inflazione, le conseguenze sulla finanza
La perdita di potere d’acquisto, provocata dagli alti tassi d’inflazione, ha colpito duramente sia le finanze delle famiglie, rendendole più vulnerabili verso spese necessarie per mantenere il tenore di vita precedente; ma anche le piccole e medie imprese, limitando la possibilità d’investimento.
I lunghi mesi di lockdown, vissuti durante il contenimento della pandemia, hanno permesso alle famiglie americane di accumulare modeste quantità di liquidità sui conti correnti bancari; il che ha permesso loro di utilizzare i risparmi accumulati per sopperire alla perdita di potere d’acquisto imposta dall’inflazione. Per le imprese, fin quando i tassi d’interesse imposti dalla Federal Reserve Bank sono stati contenuti, hanno potuto acquistare denaro con tassi d’interesse relativamente bassi; il che ha spinto verso la realizzazione d’investimenti necessari alle singole imprese.
Con i conti correnti delle famiglie prosciugati dai risparmi, e le piccole e medie banche americane che non elargiscono più liquidità a famiglie e imprese, il rischio che avvenga un crollo repentino dei consumi è uno scenario molto probabile.
Con il PIL statunitense formato per il 70% dalla spinta economica dei consumi, se i consumi crollano a causa della mancanza di liquidità per famiglie e imprese, si rende concreto il rischio di un forte rallentamento, o addirittura di un crollo, dell’economia a stelle e strisce.
Default USA; quanto è reale il rischio
Il rischio default per l’economia USA non è certamente una novità, in passato molte volte è stato affrontato un pericolo simile; ma l’economia statunitense ne è sempre uscita indenne.
Fino al 1917, ogni volta che il presidente degli Stati Uniti d’America aumentava il debito pubblico, doveva necessariamente ottenere l’autorizzazione del congresso.
Dal 1917, per rendere la procedura di aumento del debito pubblico più veloce, si è deciso che il presidente non dovesse più chiedere l’autorizzazione al congresso per ogni aumento del debito pubblico bensì, è imposto un tetto massimo al debito; in modo tale che i governi potessero avere maggiori margini di manovra nella gestione del debito pubblico, fino al raggiungimento del tetto massimo imposto.
Quando il debito pubblico raggiunge il tetto massimo imposto, il congresso deve necessariamente autorizzare la Casa Bianca a nuove emissioni di debito; in maniera analoga alle manovre di scostamento di bilancio adottate dal governo italiano.
Negli USA, molto spesso, la maggioranza presente al congresso è opposta a quella presente alla Casa Bianca; il che complica notevolmente le trattative per approvare l’incremento del tetto massimo di debito pubblico. In passato, con lo scontro tra la maggioranza presente nella Casa Bianca e la maggioranza del Congresso, si è arrivati anche al fatidico Shutdown; momento in cui si decide di tenere chiusi gli uffici pubblici, perché non ci sono più soldi per pagare gli stipendi.
Inflazione, il passato non rispecchia sempre il futuro
Se in passato il rischio default degli USA è un pericolo già molte volte vissuto, ma la prima economia mondiale ne è sempre uscita indenne; il presente mostra un mix di difficoltà che in passato non si presentavano contemporaneamente.
Sia per gli USA, che per l’intera economia globale, l’incertezza scaturita dal protrarsi del conflitto militare in Ucraina, l’inflazione ancora relativamente alta e la difficoltà degli istituti bancari nella gestione delle politiche economiche; sono fattori molto destabilizzanti per l’economia.
Necessariamente, e in tempi rapidi, la Casa Bianca e il Congresso dovranno trovare una convergenza per evitare il rischio default; anche se lo scenario d’instabilità geo-politica che viviamo nel presente è molto diverso dagli scenari vissuti nel passato, il baricentro tra Casa Bianca e Congresso, nel presente come nel passato, dovrà essere necessariamente un taglio alle spese.
Gianni Truini