Il rapporto “Le mafie nell’era digitale” della Fondazione Magna Grecia, indaga l’evoluzione della criminalità al tempo dei social. Il curatore Marcello Ravveduto, docente dell’Università di Salerno e Modena-Reggio Emilia, ha spiegato gli obiettivi della ricerca al Tg Plus di Cusano Italia Tv condotto da Aurora Vena.
Mafie digitale: il report della Fondazione Magna Grecia
Il report della Fondazione Magna Grecia “Le mafie nell’era digitale” nasce dall’esigenza di colmare le lacune presenti in questo campo di studio.
“Una lacuna – dice Ravveduto – è legata all’assenza di studi delle Digital Humanities. Cioè affrontare il tema delle mafie tenendo presento che l’ambiente digitale sta modificando la realtà che abbiamo di fronte, costruendo una nuova dimensione: interrale. In cui reale e virtuale si sommano determinando una terza realtà nella quale le mafie costruiscono la loro nuova dimensione di linguaggio che trascina e mantiene fissi nel tempo alcuni lavori. I social vengono utilizzati per diventare trasparenti, per essere riconosciute e determinare timore”.
L’utilizzo dei social media serve alle mafie per imporre il loro potere anche attraverso il mondo digitale.
“Questa ricerca ci conferma che le mafie non sono state mai segrete – spiega il curatore del report. Il mafioso in tutti i contesti territoriali è sempre stato una persona riconoscibile altrimenti non poteva manifestare il proprio potere, non poteva ricevere il rispetto e come poteva imporre sul territorio la propria presenza. I social network rendono questa dimensione del potere mafioso trasparente, soprattutto con la trasposizione di un nuovo gergo militare. O meglio con la digitalizzazione e con l’utilizzo degli strumenti simbolici che ci sono e che sono legati anche ad un nuovo modo di costruire una vera e propria estetica del potere mafioso”.
Come ChatGPT racconta le mafie
Prima di cominciare a scrivere l’introduzione del report “Le mafie nell’era digitale”, il prof. Ravveduto ha posto a ChatGPT alcune domande sulla criminalità organizzata.
“L’idea era quella di dimostrare – chiarisce Ravveduto – che oggi siamo di fronte alla possibilità, attraverso l’intelligenza artificiale, di avere strumenti che sono in grado di raccontarci e sintetizzare e dunque di distribuire conoscenza su temi che spesso ignoriamo, o facciamo finta di non vedere. Quando ho dialogato con ChatGPT mi è capitato di doverla correggere. Perché alcune notizie prese dalla rete non erano esatte. Se esiste ormai un racconto delle mafie dentro il digitale che è direttamente realizzato dai mafiosi ma è anche azione automatica di algoritmi. Bisogna creare le condizioni affinché questo mondo sia in grado di conoscere e restituirci un’immagine precisa di quello che oggi sono le mafie”.