A pochi giorni dal 31esimo anniversario dell’attentato che provocò la morte del giudice Giovanni Falcone, si è tenuta oggi presso la Corte d’Assise di Caltannissetta l’udienza del processo che vede imputato Matteo Messina Denaro per essere uno dei mandanti delle stragi del ’92. La sentenza è stata fissata, simbolicamente, per il prossimo 19 luglio, giorno dell’anniversario dell’attentato orchestrato in via d’Amelio ai danni di Paolo Borsellino e della sua scorta. In primo grado il boss di Cosa Nostra è stato condannato all’ergastolo. Mentre il procuratore generale Antonino Patti ha chiesto che la pena venga confermata, il legale che lo difende, Adriana Vella, ne ha chiesto l’assoluzione.
Messina Denaro, processo per le stragi di mafia: la difesa chiede l’assoluzione del boss
Ha iniziato la sua arringa difensiva dichiarando di essere emozionata e felice di essere stata scelta per sostenere Matteo Messina Denaro “in un procedimento che entrerà nella storia”, Adriana Vella. Il legale ha preso da poco il posto di Calogero Montante, l’avvocato d’ufficio nominato dopo la rinuncia all’incarico della nipote del boss, Lorenza Guttadauro, per difenderlo nel processo per le stragi di mafia del 1992. Messina Denaro è già stato condannato in primo grado all’ergastolo. Ma, mentre il procuratore generale Antonino Patti ha chiesto che venga confermata la condanna, l’avvocato Vella ha deciso di puntare alla sua assoluzione, non ritenendolo il mandante degli attentati.
Oggi chiederò l’assoluzione dell’imputato. Chiedo che la Corte, che ha la fortuna di essere guidata da un magistrato di eccellenza, sappia giudicare con imparzialità, sappia leggere i motivi di Appello, sgombrandoli dal nome dell’imputato e sappia con la medesima imparzialità ascoltare le mie riflessioni,
ha dichiarato. Secondo lei, in pratica, non ci sono prove sul fatto che il suo assistito abbia partecipato alle riunioni nel corso delle quali si misero a punto i piani per le stragi. Così come non ci sono prove che avrebbe fornito suoi uomini o armi per il compimento delle stesse.
Non diede il suo assenso alla stagione stragista. Nella cosiddetta missione romana, ordinata da Riina per colpire personaggi di rilievo, quali Giovanni Falcone, il ministro Martelli, Maurizio Costanzo e Andrea Barbato, Matteo Messina Denaro recepì l’ordine impartito da Totò Riina come un mero soldato. I soggetti convocati da Riina, come emerge dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori si limitarono a recepire l’ordine impartito dal capo di Cosa Nostra, ossia quello di attuare propositi criminosi mai realizzati.
A dimostrarlo ci sarebbero anche delle intercettazioni telefoniche dello stesso Riina. E il fatto che, nel 1992, il capo della famiglia di Castelvetrano fosse ancora il papà di Matteo, Francesco. Sarebbe stato lui, quindi, a prendere le decisioni, nonostante la malattia. E non il figlio. Questo perché, per scegliere, bisognava essere capocomandante di provincia o sostituto del capo, ruolo che allora spettava al massimo al braccio destro del padre, Mariano Agate.
La frecciatina al suo assistito: “Avrei apprezzato che si fosse presentato”
Nel corso dell’arringa, durata più di quattro ore, Adriana Vella non ha mancato di mostrare il suo disappunto sul fatto che il boss abbia rinunciato a collegarsi in videocollegamento dal carcere, come ha fatto da quando è stato arrestato.
Se devo essere sincera se oggi Matteo Messina Denaro fosse stato presente lo avrei apprezzato. Chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti e suggerimenti in ordine alla mia discussione? Questo è indubbio. Ha rinunciato, è una sua scelta e la rispetto comunque,
ha detto. Ha accettato il suo incarico con coraggio e dedizione, preparando l’arringa in poco più di due mesi, un tempo brevissimo per studiare tutta la documentazione prodotta fino ad ora. E ha dichiarato di non aver paura di difendere il capomafia: è un lavoro, per lei, e il diritto alla difesa spetta a chiunque, ha detto. La sentenza finale del processo d’Appello è stata fissata per il 19 luglio prossimo.