30 anni di carcere: questa la pena che rischia la donna al processo per l’omicidio di suo figlio a Perugia. I fatti risalgono al 2021: teatro dell’orrore Po’ Bandino, una frazione di Città della Pieve. Secondo l’accusa la 45enne di origini ungheresi avrebbe prima ucciso a coltellate il figlio Alex, 2 anni, e poi lo avrebbe portato in un supermercato vicino. Dopo avere adagiato il corpo del piccolo sul nastro trasportatore di una cassa, avrebbe insistito che suo figlio fosse stato aggredito da uno sconosciuto.
Un bambino completamente insanguinato, con ferite da taglio al torace e all’addome: la scena che si parò davanti ai dipendenti del supermercato era agghiacciante. Furono avvertiti subito i carabinieri, che avviarono subito le indagini sulla ricostruzione della donna. La sua versione venne presto smentita. Il pm Manuela Comodi ritiene l’imputata “lucida e determinata” nel commettere l’omicidio. Alla presunta assassina è riconosciuto un vizio parziale di mente. L’accusa nei suoi confronti è quella di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
Processo omicidio figlio Perugia, la difesa punta sui disturbi mentali della donna
Durante il processo è stato ricostruito per filo e per segno lo svolgimento dei fatti. A partire dall’intervento dei carabinieri nei pressi del supermercato Lidl, dove il cadavere del bimbo di 2 anni fu portato dalla donna. All’esterno del punto vendita era stato trovato un passeggino con delle tracce di sangue. La mamma era subito apparsa in stato confusionale, e in caserma aveva fornito versioni contrastanti sull’accaduto. Le successive ricerche avevano permesso agli inquirenti di risalire al padre della vittima, un cittadino ungherese residente all’estero.
Dal canto suo, la difesa della donna insiste sul presunto disturbo dissociativo riscontrato su di lei. Gli avvocati Enrico Renzoni e Luca Maori sottolineano come l’imputata “amava il suo bambino” e “non gli avrebbe mai fatto del male”. I legali chiedono l’assoluzione della 45enne per incapacità mentale, legata a doppio filo all’applicazione di una misura di sicurezza, in modo che “non sia una minaccia per sé e per altri, perché la curino”.
La decisione spetta ora alla Corte d’assise di Perugia, che dovrà valutare se condannare o assolvere l’assassina.