Non sta a me dare giudizi sulla nuova presidente della commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo, eletta con qualche polemica per la presunta vicinanza, denunciata in un servizio di Report, tra la parlamentare di Fratelli e Luigi Ciavardini, storico ex esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari. La neopresidente ha sempre affermato di aver incontrato Ciavardini perché impegnato in attività sociali per la riabilitazione di ex detenuti. Le polemiche sull’elezione di Colosimo non hanno acceso però i riflettori sulla natura della commissione parlamentare di inchiesta. Si è discusso molto sul perché è stata scelta l’esponente del partito di Giorgia Meloni ma è stata accantonata una necessaria riflessione sul ruolo dell’Antimafia.

Una discussione che va oltre la poltrona di presidente dell’Antimafia

Per due volte, come gran maestro del Grande Oriente d’Italia, sono stato ascoltato dall’Antimafia (allora presieduta dall’onorevole Rosy Bindi) che, secondo la legge istitutiva, ha i poteri e i limiti dell’autorità giudiziaria, ma “i limiti” sono relativi perché di fronte al sequestro di un documento disposto dal gip si può ricorrere in appello mentre nel caso di un provvedimento della commissione parlamentare ci si può rivolgere “solo” in Europa. Tra il 2016 e il 2017 ho partecipato a due convegni sul tema dei poteri e ho ascoltato alcuni interventi. L’ex ministro Raffaele Costa ha detto: “Avere gli stessi poteri e i limiti dell’autorità giudiziaria mette a soqquadro le idee di Montesquieu“; l’ex magistrato Piero Tony: “Il potere delle commissioni parlamentari di inchiesta è senza limiti di sorta”; il procuratore della Repubblica di Vasto Giampiero Di Florio: “Il sistema non è corretto e va bilanciato”; il presidente dell’Unione camere penali Beniamino Migliucci: “Possono influenzare il procedimento penale”. Sono passati sei, sette anni da quei convegni ma il problema non è stato risolto perché i presidenti passano ma i poteri e i limiti, relativi, delle commissioni parlamentari d’inchiesta restano.

Stefano Bisi