Era fine marzo quando la Camera dei deputati aveva approvato all’unanimità la costituzione di una commissione d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la giovane cittadina vaticana sparita il 22 giugno 1983 e mai più ritrovata. Sulla cui vicenda ancora si discute e si indaga. Un caso irrisolto della cronaca italiana che non ha mai smesso di far discutere, anche grazie all’attivismo indefesso di Pietro Orlandi – fratello di Emanuela – e, recentemente, grazie all’attenzione data alla storia da una serie Netflix che ne ha ripercorso le intrigate vicende. La possibile morte, lo politica internazionale e l’ombra del KGB, i rapporti con la mafia e lo scandalo di pedofilia nel Vaticano: sono queste, e molte altre, le piste percorse ma mai confermate che si celano dietro alla scomparsa di Emanuela Orlandi.
Il governo Meloni, dicevamo, sembrava aver preso di petto la vicenda per portarla finalmente ad una verità mai raggiunta. Lo stesso Pietro Orlandi è intervenuto per plaudire i passi fatti dal nuovo esecutivo e, quindi, alla proposta di creare una commissione d’inchiesta ad hoc. Dopo il voto alla Camera doveva esserci quello al Senato che, visto il clima, pareva dover essere una formalità. Invece sono passati due mesi e quello Orlandi, pian piano, sembra essere diventato già un caso finito in secondo piano. Pietro Orlandi, ospite ieri sera di Giovanni Floris a Di Martedì, non ha nascosto la sua amarezza per quanto sta succedendo: “Alla Camera c’era stato grande entusiasmo mi avevano detto che al Senato il tutto sarebbe stato ancora più veloce ma così non è stato”.
Commissione inchiesta Orlandi bloccata al Senato: come mai
Un deluso Pietro Orlandi, dal salotto de La 7 ha spiegato che dapprima c’era stato un tentativo di emendare il testo di commissione d’inchiesta – il che, per il meccanismo della navetta, lo avrebbe fatto tornare alla Camera facendo ricominciare l’iter – poi c’è stato un vero e proprio blocco. Qualcuno – spiega – ha proposto un’audizione, alla luce di recenti aggiornamenti presso la procura, per chiarire aspetti legati all’oggetto della Commissione. L’indagine parlamentare si aggiungerebbe a quelle già aperte dal Vaticano e dalla Procura di Roma: sarebbe un segnale forte di concertata volontà volta a chiarire l’irrisolto caso. Motivo per cui Pietro Orlandi non si spiega tanto rallentamento:
Avevo avuto rassicurazioni da parte di tutti gli esponenti della maggioranza, quindi rimango stupito dal fatto che il Parlamento voglia chiedere chiarimenti alla procura come se volesse farsi da parte, secondo me dovrebbero restare due cose indipendenti.
Questione di sudditanza psicologica
L’accusa alla politica è quella di sempre: la sudditanza verso la Santa Sede. Ma con l’ammarezza aggiunta di chi pensava che stavolta, finalmente, le cose potevano prendere una piega diverse. Così Pietro Orlandi:
Nella prima fase avevo totale fiducia e, addirittura, non vedevo più la solita sudditanza psicologica verso il Vaticano che ora torno a vedere. Non so se ci sia qualcuno che vuole stare attento a non rovinare i rapporti con la Santa Sede.
La situazione
La paura è che il tutto si esaurisca in un nulla di fatto. Pietro Orlandi fa presente che già in un primo momento ci fu un tentativo – avanzato con un emendamento al Senato – di accorciare il tempo di lavoro della Commissione d’inchiesta. Il Senatore Marco Lisei si è fatto portavoce del cambio di linea invitando a procedere con calma e di attendere, prima di procedere, con la speranza di ottenere prima “ulteriori chiarimenti”. Il riferimento è a quanto stanno iniziando a raccogliere dalla procura di Roma. Le opposizioni incalzano e rammentano il principio della separazione dei poteri, Pietro Orlandi e la famiglia Orlandi aspettano. In un certo senso, con loro, aspetta anche il paese. Di sapere, dopo tanti anni.