Domenica 21 maggio 2023 alle ore 11 a Roma la Comunità birmana in Italia, Global Myanmar Spring Revolution e l’Associazione per l’Amicizia Italia-Birmania Giuseppe Malpeli di Parma hanno organizzato una manifestazione pacifica per sensibilizzare i Paesi del G7 riuniti in questi giorni in Giappone in merito alla causa del popolo birmano. 17,6 milioni di persone hanno un estremo bisogno di assistenza umanitaria.
Noi di TAG24 abbiamo intervistato in esclusiva la dem Albertina Soliani, Presidente dell’Associazione “Amici della Birmania”, Presidente dell’istituto “Alcide Cervi” e Vicepresidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
Guerra in Myanmar, Soliani: “Vite distrutte, sogni spezzati, miseria, tracollo economico: tutto questo è insopportabile”
La sua opinione circa l’operato del governo italiano in questi due anni a seguito del colpo di Stato in Myanmar. Cosa pensa che il governo abbia fatto, concretamente, per il Myanmar? Quale pensa sia stato il suo intervento nella guerra scoppiata a seguito del golpe?
“Il governo italiano si è mosso condannando il golpe e quindi non dando alcuna legittimità ai militari. Non era da solo: era insieme all’Unione Europea. Ma so che il governo italiano, in sede dell’Unione Europea, ha lavorato perché l’opinione dell’Unione Europea fosse questa, e allo stesso modo lavora a Ginevra e alle Nazioni Unite. Il parlamento italiano si muove anche più liberamente, ha fatto incontri perfino video incontri con parlamentari del Myanmar. C’è un legame vero, un legame di condivisione. Temo – ma non ho elementi – che qualche traffico commerciale privato tra imprese italiane e Myanmar, quindi i militari, ci sia ancora nonostante le sanzioni pesanti e importanti che devono continuare. Tuttavia si sente la necessità di un intervento della comunità internazionale più strategico. È insopportabile che alcune parti del mondo siano sottomessi a pochi, con i loro interessi, in questo caso molto spesso stupidi, contro un popolo intero. Inoltre i nostri rappresentanti, anche al governo, che vanno al G7, e che sono figli di democrazie, non possono tollerare che i popoli che sono i sovrani vengano così repressi e colpiti in modo così brutale. Vite distrutte, sogni spezzati, miseria, tracollo economico: tutto questo è insopportabile. Gli Stati devono fare molto di più per rompere questa spirale. Vorrei dire per accompagnare i militari all’uscita”
Guerra in Myanmar, Soliani: “In Myanmar si era iniziato un esperimento di democrazia unico in Asia”
Lei crede che con questo cambio di governo che c’è stato recentemente il legame Italia-Myanmar possa cambiare in maniera positiva o negativa?
“Io credo che non cambierà. L’Italia è un attore importante a livello internazionale intorno ai grandi valori della democrazia, del diritto internazionale e della tutela dei diritti umani. Anche questo governo credo che non prenderà altre strade. Tuttavia vedo che c’è una difficoltà – non solo nell’attuale situazione politica ma anche prima e anche con altri governi – ovvero l’ignoranza: non si sa neanche dove sia il Myanmar. È grave non rendersi conto che è collocato lì tra Cina e India e magari avere l’idea di domandarsi cosa abbiamo a che fare con l’Asia. Quando la politica è ignorante diventa molto pericolosa. Noi abbiamo molto a che fare con l’Asia perché è lì che sta cambiando il mondo. Un’Unione Europea presente in Asia è qualcosa di fondamentale. Vedere che addirittura Zelensky vada là per portare la causa del suo Paese è significativo. Va in Giappone, dove c’è l’Asia che corre, e non solo con la Cina ma anche con i Paesi del sud-est asiatico. Se non altro perché la metà della popolazione è giovane, compreso il Myanmar. Noi queste cose non le capiamo perché siamo già in gran parte vecchi, un po’ scoraggiati, abbastanza chiusi sull’Occidente, senza avere la consapevolezza che il bene conquistato straordinario, con i sacrifici della resistenza, cioè la democrazia, è nelle nostre mani, dobbiamo coltivarla noi così come la difendono i popoli in Asia. Ci vuole poco a capire che in Myanmar si era iniziato un esperimento unico di democrazia in Asia. Non c’è di certo in Cina, ci sarà poco nelle Filippine. L’India pur essendo una grandissima democrazia per numeri e tradizione in realtà in qualche modo difende la giunta militare del Myanmar. Qui non ci possiamo più affidare ad altri, dobbiamo sapere che la democrazia, ovunque, è nelle nostre mani.”
Guerra in Myanmar, Soliani: “La politica non cambierà se non incontra la verità”
Lei ha parlato di ignoranza da parte della politica. Quanto crede che l’informazione italiana sia complice di questa ignoranza e perché certi Paesi continuano ad essere ignorati dalle maggiori stampe nazionali?
“Mi dispiace perché ci sono anche eccezioni ma certamente l’informazione italiana non si impegna a fondo. Non fa inchieste, non racconta, non va a vedere, anche in Paesi lontani dove si sta lottando per i diritti umani, per la democrazia. Giornalisti attenti e sensibili che hanno studiato, che sono colti, dovrebbero sapere che tocca a loro tenere un moto vivo nella coscienza collettiva. Lo fanno pochissimo. Forse ci sono interessi. Noto solo che al tempo della tragedia dei Rohingya tutta l’informazione internazionale era contro Aung Sun Suu Kyi accusandola di essere lei la responsabile, come si sa benissimo non essere vero. Oggi non ne parlano più neanche dei Rohingya, i quali per altro sono rappresentati dentro il Governo di Unità Nazionale (il NUG), hanno un loro rappresentante perché intanto la storia cammina. Il popolo del Myanmar durante le manifestazioni aveva cartelli nei quali chiedeva scusa al popolo dei Rohingya per come erano stati trattati, anche perché il battaglione che aveva cacciato i Rohingya era quello che adesso massacrava i manifestanti sulla strada. L’informazione riesce a guardare il mondo come è oggi oppure si accontentano delle agenzie, di quello che passa il convento della giornata? La politica non cambierà se non incontra la verità. Ma è chi la verità la deve cercare, cioè l’informazione, a dover favorire questo incontro. I popoli si meritano qualcosa di meglio. I popoli stanno resistendo: in Afghanistan, in Iran, come si possono permettere i giornalisti di non parlarne più?”