L’Onu continua ad accendere i riflettori sul problema assillante del cambiamento climatico, questa volta con un rapporto che studia gli effetti del global warming sull’umanità.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: con il surriscaldamento globale e con tutte le variazioni climatiche ad esso connesse non si può scherzare. Se ancora ci fosse qualcuno di non convinto, ci pensa l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, una sezione interna all’ONU, a fare chiarezza sui danni che stiamo apportando al nostro pianeta. Lo fa attraverso un aggiornamento del suo Atlas of Mortality and Economic Losses from Weather, Climate and Water Extremes.

Il conto più salato in termini di beni coinvolti in esondazioni, alluvioni, siccità e non solo, è sicuramente per la parte ricca del mondo: i danni causati dal cambiamento climatico ammontano a 4.300 miliardi di dollari in 51 anni. Ai Paesi più poveri spetta invece da pagare il numero maggiore di vite umane: dei due milioni di morti causati dai cambiamenti climatici, il 90% si trova nei paesi del terzo mondo, dove sono meno presenti dei piani statali di evacuazione o aiuto.

Cambiamento climatico, il rapporto Onu conta quasi 12mila eventi estremi dal 1970: “Gestione coordinata per evitare vittime”

Il rapporto dell’Onu, più specificatamente della WMO, sul cambiamento climatico ha evidenziato la curva nel numero di eventi estremi registrati negli ultimi 50 anni o poco più. Sarebbero 11.778 i casi in cui il clima ha fatto parlare di sé, spesso accompagnandosi a tragedie e ingenti perdite di denaro.

Una buona notizia sembra arrivare però per quanto riguarda la gestione delle emergenze: tra il 2020 e il 2021 i decessi legati al clima sono stati “solo” 22.608, il che segna un miglioramento rispetto ai dati precedenti. Se ciò è stato possibile, dobbiamo ringraziare gli allarmi precoci e i piani di gestione coordinata dei disastri, come quello che stiamo vedendo attuato in Emilia Romagna. Questa statistica non vale però per i Paesi più poveri, dove non sempre lo Stato arriva a garantire adeguati e tempestivi soccorsi.

Ad esempio, negli scorsi 50 anni in Africa ben 733.585 persone sono morte a seguito di uno dei 1.839 disastri attribuiti a condizioni meteorologiche: il più devastante è sicuramente la siccità, causa del 95% delle vittime.

Cambiamento climatico, quanto mi costi! L’Onu: “Costi delle devastazioni in aumento”

Se da una parte possiamo essere contenti del nostro operato per evitare il crescere delle vittime, dall’altro il cambiamento climatico continua a presentarci un conto salatissimo. E ad essere la più colpita in questo caso è proprio la parte più ricca del globo. Il rapporto Onu sul cambiamento climatico ha infatti dimostrato che il 60% delle perdite economiche dovute ai disastri del meteo si verifica nelle economie del nord del mondo.

Va comunque ammesso che i PIL dei Paesi più ricchi riescono spesso ad assorbire le spese della ricostruzione e dei soccorsi, mentre è molto più difficile farlo per le Nazioni povere, dove il 7% dei disastri ambientali possono causare una perdita anche del 30% del PIL.

Mami Mizutori, capo dell’Ufficio Onu per la Riduzione del rischio di disastri, parla chiaro su che cosa sia necessario per cercare di limitare il più possibile non solo la perdita di vite umane, ma anche i costi spropositati delle ricostruzioni. La parola chiave è una sola: prevenire.

Ridurre il rischio di disastri è possibile, ma richiede un impegno collettivo per il cambiamento socioculturale, una cultura della prevenzione e il ruolo centrale della gestione integrata del rischio di catastrofi nella costruzione del mondo che apprezziamo e desideriamo.

La conclusione del suo intervento, che ha fatto da apripista per il World Meteorological Congress incentrato soprattutto sull’accelerazione dei servizi di allarme precoce e soccorso, è lapidaria e rende bene l’entità del problema:

Non possiamo scegliere un percorso di timidezza, mantenendo gli affari come al solito. L’alternativa è una minaccia che non solo mette a repentaglio lo sviluppo sostenibile, ma anche la nostra stessa esistenza.