Emma Bonino esprime tutta la sua preoccupazione sul tema, da sempre a lei molto caro, dell’interruzione di gravidanza, puntando il dito contro il governo Meloni che metterebbe a rischio l’applicazione della legge 194.

Emma Bonino preoccupata che la Legge 194 resti inapplicata a causa del clima creato dal governo Meloni

La Legge sull’aborto compie 45 anni ed Emma Bonino scrive un articolo dedicato alla ricorrenza sulle pagine de L’Unità. Tuttavia, chi potrebbe aspettarsi parole celebrative su una delle più importanti conquiste in tema di diritti nel nostro paese, resterà deluso. La leader di +Europa, infatti, preferisce lanciare un allarme sulla situazione in cui si trova oggi, in Italia, quel diritto così faticosamente conquistato.

La Bonino attacca il governo presieduto da Giorgia Meloni, ritenendolo responsabile di un clima che potrebbe lasciare la Legge 194 inapplicata. Clima ben sintetizzato dalle posizioni più volte espresse dalla ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella, che recentemente ha paragonato l’aborto alla legittima difesa, ovvero come una drammatica eccezione alla vita che dovrebbe sempre essere inviolabile, esprimendo anche un parere fortemente contrario alla pillola RU486 o pillola abortiva.
La Bonino non teme, infatti, la cancellazione della legge ma l’obiezione di coscienza sempre più diffusa, soprattutto nelle regioni governate proprio dal centrodestra, che renderebbe totalmente inefficace il provvedimento legislativo.

“A preoccuparmi oggi non sono solo i limiti della Legge 194, vale a dire l’obiezione di coscienza organizzata in molte regioni o la mancata prescrizione della RU486; non mi preoccupano nemmeno le varie campagne dei movimenti Provita, né penso che la legge 194 sia a rischio di essere cancellata da questa maggioranza parlamentare di destra reazionaria. Il mio timore è che diventerà inapplicabile di fatto, in tutte le Regioni“.

Il caso delle Marche: 69% dei medici sono obiettori

La conferma di questi timori viene dal caso della Regione Marche, governata da Francesco Acquaroli, esponente del partito della premier Meloni, Fratelli d’Italia.
I numeri in merito all’applicazione della 194 nella regione sono impietosi e inquietanti nell’analisi della Bonino, che teme possano essere emulati in altre regioni del paese.

“Su 17 strutture sanitarie, 12 sono punti per l’interruzione di gravidanza: in una non si pratica l’aborto (Fermo) e nelle altre quattro non ci sono ginecologi non obiettori. Quattro su dodici hanno più dell’80 per cento di ginecologi obiettori. Le Marche sono la Regione del centro Italia dove meno si pratica l’aborto farmacologico. Sono al 13 per cento, quando la media nazionale, già molto bassa, è al 24-25 per cento”.

Proprio ad Ancona, del resto, si è svolta recentemente una manifestazione della rete transfemminista ‘Non Una di Meno’, organizzata proprio per denunciare le possibilità sempre minori di accedere all’interruzione di gravidanza in maniera sicura e libera.
La Bonino conclude il suo articolo augurandosi che, nonostante questa situazione, la legge 194 continui a essere “applicata e rispettata”, spingendo affinché sempre nuovi diritti vengano riconosciuti, da quello di cittadinanza all’eutanasia fino alla cannabis legale.

Come l’aborto diventò legge: storia della 194

La strada che portò alla legge sull’aborto fu particolarmente complessa perché andò a scontrarsi con alcuni ritardi non soltanto legislativi ma anche morali del paese. Prima della sua emanazione, infatti, l’interruzione volontaria di gravidanza era un reato che prevedeva dai 2 ai 5 anni di reclusione per l’esecutore materiale dell’aborto e per la donna che decideva di sottoporvisi.

La scossa alle convinzioni e ai precetti morali del paese arrivò con gli anni Sessanta e l’avanzata dei movimenti femministi, che introdussero modi nuovi di pensare e concepire il corpo femminile e i diritti su di esso rivendicati dalle donne.
Le modifiche legislative, tuttavia, richiesero un lavoro molto più complesso, fatto di discussioni, scontri e, in alcuni casi, veri e propri ‘casi’ sollevati soprattutto dalle iniziative del Partito Radicale, guidato dal segretario Gianfranco Spadaccia.

La prima svolta arrivò il 5 febbraio del 1975 quando venne presentata da Marco Pannella e dal direttore del settimanale L’Espresso Livio Zanetti, la richiesta per un referendum abrogativo dei seguenti articoli del codice penale:

  • articolo n. 546
  • articolo n. 547
  • articolo n. 548
  • articolo n. 549 2º Comma
  • articolo n. 550
  • articolo n. 551
  • articolo n. 552
  • articolo n. 553
  • articolo n. 554
  • articolo n. 555

Tali articoli del codice penale riguardavano reati quali l’aborto su donna consenziente, l’istigazione all’aborto, gli atti abortivi su donna ritenuta incinta o quelli di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia.

Sebbene lo scioglimento anticipato delle Camere costrinse allo slittamento del referendum, il clima sociale, culturale e politico del paese sul tema era ormai cambiato. Diverse furono, quindi, le proposte per introdurre una legge capace di introdurre il diritto all’aborto nell’ordinamento giuridico italiano. Il testo in questione arrivò, finalmente, nel maggio del 1978, con la Legge 194 di quell’anno e a nulla servì il referendum promosso per la sua abrogazione nel 1981 dal ‘Movimento per la vita’, che venne bocciato dagli elettori.