È qualcosa di più di una semplice querelle, ormai, quella in essere tra Ron DeSantis e Disney. I rapporti tra il governatore della Florida ed il colosso che, proprio ad Orlando, ha uno dei suoi parchi più grandi ed importanti del mondo, va avanti da un bel po’. Tutto è iniziato quando Disney ha preso pubblica posizione in relazione ad una legge statale, introdotta da Ron DeSantis, che i critici hanno rinominato “Don’t say gay”. La legge vieta, in Florida, lezioni in classe sull’orientamento sessuale e l’identità di genere nei primi anni di scuola. Una politica spiccatamente conservatrice che è riprova di quanti molti vanno dicendo circa l’impostazione politica di DeSantis: è come Trump, ma più scaltro.
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Cosa ha prodotto il duello a distanza tra DeSantis e Disney? Il governatore floridiano, nei mesi addietro, ha deciso di ritirare una serie di benefici fiscali in atto da decenni per punire la compagnia per le sue posizioni di apertura verso la comunità lgbtq+. Mosse molto dure che hanno avuto l’effetto di galvanizzare la base più conservatrice del partito repubblicano: non è un caso che la popolarità di DeSantis sia cresciuta a dismisura, come si è potuto evincere dalle elezioni di novembre che ha stravinto e che lo hanno confermato alla guida della Florida. Per un momento l’astro nascente del Gop sembrava pronto ad avvicendarsi alla leadership di Donald Trump che però, nonostante i guai legali che lo coinvolgono, ha tenuto botta e resta il candidato numero uno per la candidatura alle presidenziali del 2024. Questo non gli impedirà comunque di lanciare la sua candidatura alle primarie di partito, cosa che dovrebbe avvenire nei prossimi giorni. Riavvolgendo il nastro: lo scorso marzo Disney, dinanzi alle imposizioni dello stato, ha accusato il governatore di usare il suo ruolo come forma di vendetta. Questo ha inasprito ulteriormente gli animi. Tant’è che Robert Iger, Presidente Disney, aveva minacciato di smettere di investire in Florida.
Disney fa una ripicca a DeSantis: niente investimento miliardario in Florida
E arriviamo all’oggi per scoprire che quello di Iger non era un bluff: ha bloccato il progetto da quasi un miliardo di dollari per la realizzazione di una serie di uffici a Orlando. Il progetto avrebbe portato più di duemila nuovi posti di lavoro con uno stipendio medio di 120 mila dollari l’anno. In sostanza sarebbe dovuto sorgere un nuovo campus – chiamato Lake Nona Town Center – capace di allocare circa mille nuovi dipendenti provenienti dal Sud della California. Il progetto nasce nel 2021 quando Disney scelse proprio la Florida per dargli impulso in quanto – assurgevano all’epoca – “luogo amico degli affari”. Le cose, evidentemente, sono cambiate. A cambiare è stato il rapporto tra il colosso dell’intrattenimento e Ron DeSantis.
Virata californiana?
Potrebbe costare cara, in termini economici, la decisione comunicativa di Ron DeSantis: usare la querelle con Disney per alimentare la crociata anti-arcobaleno che tanto piace agli elettori repubblicani. Una scelta tattica in vista del congresso repubblicano che deciderà il candidato alle elezioni presidenziali del 2024. Ne varrà la pena? Intanto c’è chi già sembra pronto ad accogliere a braccia aperte gli investimenti di Disney: il governatore della California, Gavin Newsom, ha lanciato su Twitter l’invito a investire nel proprio stato: lo “stato – ha scritto – che rappresenta davvero i valori dei vostri dipendenti”. Già duecento dipendenti che lavoravano in Florida sono stati ricollocati in California. Lake Nona doveva aprire il prossimo anno, ma a luglio la compagnia aveva spostato l’inaugurazione al 2026, citando ritardi nella costruzione. Il campus sarebbe dovuto sorgere a una quarantina di chilometri da Disney World, vicino all’aeroporto internazionale di Orlando.