Psichiatra minacciata da paziente a Napoli, munito di pistola, poi si masturba, ma subito dopo viene ricoverato. E’ l’ultimo caso in ordine cronologico di una serie di altri. Chi opera nel settore sa cosa vuol dire interagire con un paziente affetto da una grave patologia psichiatrica. E’ un lavoro complesso e il compito degli esperti, e dei caregiver, è di riconoscere i segnali allarmanti senza sottovalutarli. Quante volte per eccesso di bontà, o di empatia, si fa finta di non vedere l’altro? Ne abbiamo parlato con Barbara Volpi, psicoterapeuta e scrittrice, intervenuta su Radio Cusano Campus a Società Anno Zero.

Psichiatra minacciata da paziente a Napoli, Barbara Volpi: “Facciamo un lavoro che è una missione. Lavoriamo in rete”

Il nostro lavoro lo concepisco come una missione: è difficile confrontarsi quotidianamente con la patologia, soprattutto in situazioni estreme. Ma è importante lavorare in rete, ci protegge mentalmente e fisicamente. C’è un discorso di protezione mentale che non possiamo sottovalutare. Lo psicologo, psicoterapeuta, deve avere le giuste risorse per affrontare simili disagi – ha spiegato Barbara Volpi – stabilire un rapporto di fiducia coi pazienti e le strutture è importante in situazioni così difficili“.

La funzione del digitale nelle patologie mentali

Il digitale impatta su certe patologie mentale: ha cambiato tutto, anche il nostro modo di lavorare, la tecnologia può cambiare la mente, aiutarci a fare prevenzione. Quanto è importante cercare di dare linee educative forti per prevenire disturbi collegati alla rete. Non solo, la rete può innescare a livello di patologia alcune vie, alcune diramazioni, tra cui l’emulazione. Pensiamo ad un paziente schizofrenico, che sente le voci: quanto il digitale può rappresentare un sistema di controllo? L’odio, la rabbia che questi pazienti provano – ha aggiunto l’autrice di Genitori Digitali – viene tirata fuori con un atto eclatante che porta a un’azione violenta“.

E alle famiglie dei pazienti psichiatrici chiediamo di riconoscere la patologia

Nell’identità online il reale e digitale si mischiano. Questi episodi fanno riflettere rispetto a quanto la patologia si vada ad innescare per un posto in società, con un atto estremo. I pazienti devono essere aiutati anche tramite le denunce delle famiglie, che il più delle volte non riconoscono il problema per vergogna o incapacità. Riconoscere la patologia, è importante, mi rivolgo alle famiglie di pazienti psichiatrici. Non è un torto che si fa al paziente, ma necessità di cura – ha aggiunto Barbara Volpi – in queste patologie c’è bisogno di una cura farmacologica e di un contenimento“.

I pazienti non accettano di dover affrontare una patologia

Spesso per il paziente è difficile accettare il contenimento, alle volte è egli stesso a boiccottare la cura, rispondono dicendo i pazzi siete voi. Ma dobbiamo prevenire situazioni del genere: ci sono momenti chiave in cui un paziente può esplodere e frammenti che, magari in supervisione e in equipe clinica, possono essere discussi insieme. Sensibilizziamo. Ci sono colleghi che dicono ho paura, non lasciatemi sola col paziente – ha sottolineato l’esperta – stiamo parlando di patologie sedimentate dove tanti segnali non sono stati visti, o non volevamo vederli“.

L’odio dei pazienti verso il terapeuta

Un paziente che uccide, o tenta di uccidere o violentare il terapeuta, è una persona che prova emozioni negative verso una persona che può cambiare le sorti della patologia. “Il paziente è spesso innamorato della sua malattia, se la situazione migliora, o cambia, è spaventato. Mi è venuto in mente il periodo in cui facevo il tirocinio a Neuropsichiatria Infantile dove uno psichiatra adulto mi disse non starci mai da sola con una ragazza – si è congedata Barbara Volpi – la ragazza mi picchiò e intervennero gli infermieri. Queste persone fanno fatica a capire gli affetti. Ecco perché all’inizio dell’intervista parlavo di missione. In quella circostanza, sono stata troppo affettuosa e la paziente, per un suo vissuto affettivo caotico, si è paradossalmente sentita ingannata“.