Fu ucciso e sciolto nell’acido; ora, a 10 anni dai fatti che lo strapparono alla vita, finalmente i familiari di Salvatore Totoriello potrebbe ottenere giustizia. I carabinieri del Ros sarebbero infatti riusciti a ricostruire le dinamiche del delitto, appurando che l’uomo sarebbe stato ucciso per vendetta da alcuni affiliati al clan Licciardi, a cui lui stesso apparteneva, per essere stato l’amante della moglie di un boss detenuto. Tre, in totale, le persone arrestate.

Fu ucciso e sciolto nell’acido: tre arresti per la morte di Salvatore Totoriello

I carabinieri del Ros, insieme a quelli del comando provinciale di Napoli, avrebbero tratto in arresto tre persone ritenute coinvolte, a vario titolo, nell’omicidio di Salvatore Esposito, detto “Totoriello”, scomparso nel nulla il 27 settembre del 2013. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, l’uomo sarebbe stato ucciso e sciolto nell’acido da alcuni affiliati al clan Licciardi (che opera nel quartiere di Secondigliano), a cui lui stesso apparteneva, perché aveva intrapreso una relazione sentimentale con la moglie di un boss detenuto. Una “punizione d’onore”, quindi, come l’hanno chiamata gli inquirenti: dopo essere stato attratto in una zona boschiva, nel quartiere Chiaiano di Napoli, fu freddato a colpi d’arma da fuoco.

Il suo cadavere venne poi sciolto nell’acido da alcuni affiliati al clan Polverino-Simioli, molto vicino a quello della Nuvoletta, usando le tecniche della “lupara bianca”, come, in ambito giornalistico, vengono chiamate le pratiche di occultamento dei cadaveri messe in atto negli ambienti di mafia nei confronti dei “traditori”. Come quella che riguarda, appunto, l’uso dell’acido, già sperimentata da Cosa Nostra negli anni Ottanta per una serie di delitti consumatisi nell’ambito di guerre tra clan, tra cui quelli di Vittorio e Luigi Vastarella, Gennaro Salvi, Gaetano Di Costanzo e Antonio Mauriello, per cui è stato condannato come mandante Totò Riina.

L’obiettivo? Eliminare il corpo della vittima (oltre al reato), in modo da evitarne una degna sepoltura. I tre fermati sono accusati ora di associazione mafiosa, estorsione, omicidio, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco aggravati. Potrebbe chiudersi con la loro condanna il cold case di Totoriello, per anni rimasto senza risposte.

Il caso di Giulio Giaccio, assassinato per errore dalla camorra

Parecchi anni prima che Totoriello fosse assassinato per vendetta da alcuni degli affiliati al suo stesso clan, delle sorti simili erano toccate anche a Giulio Giaccio. L’operaio, appena 26enne, si trovava al confine tra Pianura e Marano, nella periferia di Napoli, quando, nel 2000, venne freddato e sciolto nell’acido. Si trattò, però, di uno scambio di persona: i presunti esecutori del delitto, Salvatore Cammarota e Carlo Nappi, entrambi affiliati al clan Polverino, avrebbero infatti sbagliato bersaglio. Avrebbero dovuto uccidere un certo “Salvatore”, colpevole, secondo Cammarota (che si trovava, allora, al vertice del clan), di aver avuto una relazione con sua sorella. Ma lo “specchiettista”, colui che era stato incaricato di indicare ai killer l’obiettivo del delitto, si era sbagliato e li aveva condotti a Giaccio.

I due sono già detenuti per alcuni reati di camorra, ma rischiano ora di ricevere un’ulteriore pena. Si è aperto da qualche settimana, infatti, il processo a loro carico per la vicenda. Per fare in modo che la famiglia della vittima non si costituisse parte civile – alleggerendo, in qualche modo, le loro posizioni -, i due hanno offerto loro un risarcimento in denaro e immobili. Offerta rifiutata dall’accusa, che spera che sulla vicenda, dopo più di venti anni dai fatti, possa essere finalmente fatta giustizia. La vittima e la sua famiglia, infatti, con quegli ambienti criminosi non c’entravano nulla.

Io non mi chiamo Salvatore, i miei genitori lavorano, siamo persone oneste,

aveva provato a dire loro il 26enne, ma senza riuscire a farsi ascoltare.