17 maggio 2023. Dall’omicidio del commissario Luigi Calabresi sono passati 51 anni, eppure la storia di quello che successe in quella fatidica giornata del 1972 è ancora viva. Era mattina quando il poliziotto, uscendo dalla sua abitazione di Milano, venne freddato con due colpi di pistola. Le indagini che seguirono il delitto furono lunghe e controverse e portarono alla condanna di diversi militanti di Lotta Continua. L’anno successivo, il 1973, nel corso di alcune commemorazioni in ricordo della vittima presso la Questura di Milano, un attentato strappò alla vita 4 persone, ferendone una cinquantina. Una vera e propria tragedia nella tragedia.

Luigi Calabresi, storia dell’omicidio del commissario

Sono le 9.15 del 17 maggio 1972. Luigi Calabresi esce di casa per recarsi in Questura, quando viene raggiunto da un uomo che tira fuori una pistola e gli spara due colpi, uno alla testa e uno alla schiena. Muore, a 34 anni, lasciando la moglie incinta e due figli. Da qualche anno era stato promosso a commissario aggiunto e, negli ambienti di polizia, veniva chiamato con l’appellativo di “poliziotto nuovo”, sia per il modo di vestire all’avanguardia che per quello di agire, aperto al dialogo. A marzo dello stesso anno era stato tra i primi ad occuparsi dell’omicidio di Giangiacomo Feltrinelli e delle prime inchieste riguardanti le azioni delle Brigate Rosse.

Qualche anno prima, nel 1969, aveva partecipato alle indagini seguite alla strage di Piazza Fontana, a Milano, dopo che una bomba aveva ucciso tredici persone, ferendone più di 80. Il movente del suo omicidio si colloca proprio in questi anni: Calabresi viene ritenuto (erroneamente) tra i responsabili della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli che, dopo essere stato accompagnato in Questura per accertamenti dal luogo dell’attentato, era morto in circostanze misteriose, precipitando da una finestra. A freddare Calabresi sono, non a caso, alcuni militanti di Lotta Continua.

La svolta arriva negli anni Ottanta, quando Leonardo Marino confessa di aver partecipato all’omicidio, tirando in ballo altre persone. Viene arrestato, il 28 luglio 1988, insieme a Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri. Il processo a loro carico è lungo e intricato. Nei primi due gradi di giudizio gli imputati vengono condannati; c’è poi un nuovo Appello, che termina con un’assoluzione. La Corte di Cassazione annulla per la seconda volta la sentenza, chiedendo che venga celebrato un nuovo dibattimento. Alla fine Marino viene assolto perché il reato contestatogli è caduto in prescrizione, gli altri vengono condannati. Molti ritengono che non si sia mai fatta davvero giustizia. Le varie richieste di revisione, però, non sono mai state accettate.

La strage alla Questura di Milano

Ciò che accade il 17 maggio dell’anno successivo è una tragedia nella tragedia. In centinaia si sono recati presso la Questura di Milano, in via Fatebenefratelli, per ricordare la morte di Luigi Calabresi e scoprire un busto a lui dedicato. Per l’occasione è presente anche il ministro dell’Interno, Mariano Rumour. È lui l’obiettivo dell’attentato orchestrato dall’anarchico Gianfranco Bertoli, che porta alla morte di quattro persone. Si tratta di Felicia Bartolozzi, Gabriella Bortolon, Federico Masarin e Giuseppe Panzino. In 52 rimangono feriti.

Al momento dell’arresto l’esecutore dichiara di aver agito da solo, per vendicare la morte di Pinelli. Nonostante sia stato condannato all’ergastolo, da sempre si è convinti che non possa aver fatto tutto da solo, ma sia stato in qualche modo “incastrato”. Indagini successive ai fatti mostrano infatti il possibile coinvolgimento dei servizi segreti e di gruppi di estrema destra. Bertoli resta, comunque, l’unico colpevole. In carcere tenta addirittura il suicidio. Rilasciato nel 2000, muore per cause naturali, portando con sé tutti i suoi segreti e non rispondendo ai numerosi interrogativi rimasti aperti sulla vicenda.