Nuovo rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo: l’Arabia Saudita si conferma il Paese con il più alto numero di esecuzioni nel 2022. Il Paese mediorientale ha addirittura triplicato tale numero: dai 65 casi del 2021 si è passati ai 196 nel 2022.
L’Arabia Saudita risulta al primo posto anche per quanto riguarda le gravi violazioni dei diritti umani. Sotto la lente d’ingrandimento del report ci sono gli atti di tortura nelle carceri, ma non solo. Tra le altre cose, le autorità di Riyad sono ritenute responsabili della sparizione del giornalista Khashoggi, scomparso nell’ambasciata saudita a Istanbul nel 2018 e mai più ritrovato.
Un caso in particolare viene enfatizzato nello studio dell’organizzazione umanitaria come una vera e propria esecuzione da record, quella di 81 prigionieri in un solo giorno.
È avvenuto il 15 marzo scorso ai danni di cittadini sauditi e stranieri condannati per un’ampia gamma di reati tra cui terrorismo, omicidio, rapina a mano armata e traffico di droga. Alcuni dei condannati erano stati ritenuti colpevoli di ‘danno al tessuto sociale e alla coesione nazionale’ e ‘partecipazione e incitamento alla partecipazione a sit-in e proteste’.
Rapporto Amnesty International sulla pena di morte: in Arabia Saudita cittadini perseguiti nel diritto alla libera associazione
Dall’indagine di Amnesty emerge come gli Stati del Medio Oriente e dell’Africa del Nord violino ripetutamente il diritto internazionale, mostrando un profondo disprezzo per la vita umana.
I processi della Corte Penale Specializzata saudita (Scc) sono considerati iniqui. A finire condannati a morte ci sono spesso cittadini anche minorenni. È il caso di un ragazzo arrestato all’età di 14 anni, accusato di rapina e di omicidio e condannato a morte nel marzo scorso. L’autorità giudiziaria persegue i cittadini anche nel diritto alla libertà d’espressione e alla libera associazione.
Una situazione che preoccupa la comunità internazionale, perplessa dal forte aumento delle esecuzioni, spesso legate alla mancata libertà di riunione e di associazione, e dall’impiego dei divieti di viaggio. Il vertice sui diritti umani tra Arabia Saudita e Ue, tenutosi a novembre scorso a Riyad, non ha dato i risultati sperati.
La situazione non è cambiata neppure dopo l’elezione, risalente allo scorso 27 settembre, del principe ereditario Mohammed bin Salman bin Abdulaziz Al Saud.
Arabia Saudita tra abusi e sfruttamento dei migranti e discriminazione contro le donne
Amnesty sottolinea anche come l’Arabia Saudita sia al terzo posto nel mondo per numero di immigrati ricevuti sul proprio territorio. Il Paese non è di certo accomodante con questa fascia lavoratori, che nelle occasioni in cui non sono respinti nei loro Paesi d’origine diventano vittime di sfruttamenti e abusi.
Una situazione che non migliora di certo sul piano dei diritti civili e della discriminazione contro le donne. A tal proposito, aveva fatto notizia la condanna ad agosto scorso di Salma al-Shehab, dottoranda e attivista, a 34 anni di carcere e un divieto di viaggio per altri 34 anni. La sua “colpa”, una pacifica attività su Twitter a sostegno dei diritti delle donne in Arabia Saudita. Per questo è stata giudicata colpevole di “avere turbato l’ordine pubblico e destabilizzato la sicurezza e la stabilità dello stato” attraverso i suoi tweet.