Quattro anni di carcere. È questa la pena che i giudici di primo grado hanno inflitto ai coniugi Giuliano Rossini e Silvia Fornari di Brescia, saliti alla ribalta delle cronache per aver preso parte ad una frode fiscale da almeno mezzo miliardo di euro. Finiti sotto indagine nel 2019 dopo alcune segnalazioni di carattere fiscale, in seguito al rintracciamento di fatture sospette emesse da un’azienda con sede in Val Trompia nei confronti di soggetti cinesi, erano stati fermati lo scorso settembre. Nel corso di alcune perlustrazioni da parte della Guardia di Finanza, nel loro giardino erano stati rinvenuti circa 15 milioni di euro. Nelle scorse ore un’operazione simile ha portato al sequestro preventivo di 700 milioni di euro ad Asti.

Condannati per frode fiscale i coniugi Rossini di Brescia

Per la coppia si aprono ora le porte del carcere. Il reato contestatogli è quello di frode fiscale che, per definizione, consiste nell’evitare le imposte sui redditi mediante l’emissione di fatture o documenti falsi. In pratica, secondo gli inquirenti, i due coniugi avrebbero costruito e controllato, nel tempo, un vero e proprio “sistema Rossini”, che consisteva nel muovere grandi somme di denaro giustificate da operazioni inesistenti, proprio al fine di evadere le tasse. Evasione stimata alla fine a 93 milioni di euro. L’iter era il seguente: da un quartier generale ricavato in un cascinale di Gussago di proprietà dei due, una sorta di ufficio in cui era stato installato un router web, venivano emesse false fatture verso l’estero.

Lì, una volta prelevato, il denaro veniva riportato in contanti in Italia per mano di “spalloni” e veniva nascosto. Le indagini a carico dei due, che si trovavano al vertice dell’organizzazione, erano partite nel 2019, dopo alcune segnalazioni di carattere fiscale. Nel corso di alcune perlustrazioni, aiutati dagli imputati, gli inquirenti avevano poi recuperato oltre 15 milioni di euro in contanti, in parte sotterrati in giardino, in parte nascosti nella cantina e nel sottotetto dell’abitazione dei Rossini. Per questo i due erano stati tratti in arresto: lui, considerato il capo dell’associazione a delinquere, era stato incarcercato; lei era finita agli arresti domiciliari. Stando a quanto emerso dalle indagini, i coniugi avrebbero evaso oltre mezzo miliardo di euro con l’aiuto di altre persone, una settantina circa. In 27, la scorsa estate, erano finite nei guai.

Tra loro ci sarebbero anche il figlio 22enne, Emanuele Rossini, e la sorella di lei, Marta Fornari, entrambi condannati a tre anni, dieci mesi e due giorni di carcere. Per i coniugi, ritenuti colpevoli di frode fiscale, gli anni da scontare saranno quattro. Una pena più che dimezzata rispetto a quella richiesta dal pm Claudia Passalacqua, secondo cui la condanna avrebbe dovuto essere di almeno 9 anni di reclusione per i coniugi e di 6 per i loro complici.

Truffa sui bonus edilizi ad Asti: sequestrati preventivamente 700 milioni di euro

Nelle scorse ore la Guardia di Finanza di Asti avrebbe messo sotto sequestro oltre 700 milioni di euro nell’ambito di un’operazione denominata “Capisci Ammè” – dall’espressione usata da uno dei commercialisti coinvolti -, relativa a una maxi-frode sui bonus edilizi. La modalità operativa dei suoi autori sarebbe molto simile a quella messa in atto dai coniugi di Brescia. Attraverso 18 diverse società (in realtà inattive) e quattro persone fisiche venivano emesse false fatturazioni per lavori edili mai effettuati per riciclare i proventi delle attività illecite dei soggetti coinvolti a vario titolo, una decina. La frode riguarderebbe decine di milioni di euro, ora sottoposte preventivamente a sequestro. A spiegarlo è una nota diffusa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale locale, in cui si spiega che

l’intervento, finalizzato ad impedire l’utilizzo di questa ulteriore copiosa platea di crediti d’imposta ritenuti inesistenti, generati e/o compravenduti nel 2022 dal sodalizio criminale ormai disarticolato, è stato condotto dalle Fiamme gialle astigiane con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate di Roma, alla quale è stato notificato il decreto magistraturale, in modo da disattivare l’accesso ai cassetti fiscali incriminati appostati dagli indagati sulla apposita piattaforma digitale del fisco.