Meno due giorni alle Presidenziali di Turchia dove non hanno dubbi nel definirle le elezioni più in certe degli ultimi 20 anni di storia. Questo perché l’incumbent, il Presidente Recep Tayyip Erdogan, non è certo della conferma. La partita è in bilico e contesa con Kemal Kilicdaroglu che, tra le altre cose, ha rinvigorito la sua candidatura dopo il ritiro del terzo candidato Muharrem Ince che, probabilmente, dirottorerà il suo bacino elettorale proprio verso Kilicdaroglu. Parliamo di pochi voti ma comunque preziosi visto che, e gli analisti turchi non ne hanno dubbi, siamo ad una partita che si deciderà voto su voto. E che si deciderà, probabilmente, grazie al 10-15% di indecisi tra i 64 milioni di elettori di un Paese di 85 milioni di abitanti in cui l’affluenza alle urne raggiunge sempre percentuali altissime. Rimane comunque in corsa l’ultranazionalista Sinan Ogan, destinato a ottenere una percentuale minima di voti. Si vota il 14 maggio – come detto – e se dovesse essere necessario un secondo turno questo di terrà il prossimo 28 maggio.

Elezioni Turchia: Erdogan rischia. Come mai?

Primo Ministro dal 2003 al 2014 e Presidente dal 2014 ad oggi, Erdogan non ha mai rischiato tanto come stavolta. A giocare contro di lui, ironia della sorte, potrebbero essere alcune delle riforme da lui stesso apportate. Anche della forma di stato: quelle del 2014, infatti, sono state le prime elezioni presidenziali della Turchia che, prima di allora, delegava il Parlamento per la elezione del Presidente. Esattamente come avviene in Italia. Anche la modifica della legge elettorale in senso maggioritario – voluta da Erdogan – lo penalizza in vista della tornata in essere vista la debolezza del suo Akp. Erdogan voleva aumentare il suo potere ma ha finito con l’organizzare, donando gli strumenti, l’opposizione.

Oltre alle questioni delle istituzioni ci sono anche quelle del paese reale ad aver indebolito Erdogan. L’economia e poi il terremoto dello scorso febbraio. Nonostante si sia trattato di un evento inaspettato e particolarmente impattante e devastante (parliamo di un sisma di magnitudo 7.7) Erdogan è stato accusato di negligenza e circa il 60% del Paese. Il quale non ha gradito né la gestione dell’emergenza né gli interventi attuati dopo la tragedia in termini di aiuto e sostegno alla popolazione.

La formazione di Kilicdaoglu

La coalizione di opposizione si presenta come ben attrezzata oltre che favorita dalla legge elettorale. Kilicdaoglu è appoggiato dal partito di cui è leader, il partito popolare, dal Chp e dai nazionalisti di Iyi Parti. E ancora: l’alleanza dei religiosi di Saadet ed i movimenti politici organizzati da Ali Babacan e Ahmet Davutoglu. Rispettivamente, ex Ministro all’Economia e Ministro degli Esteri di Erdogan. Questa formazione si è unita nella lotta “all’autoritarismo e alla deriva non democratica del Paese” e già nelle elezioni del 2018 ha perso con un margine risicato. Negli anni è cresciuta, si è imposta in varie elezioni amministrative, ed oggi sembra pronta ad insidiare il potere di Erdogan.

I sondaggi

Rispetto all’ultima volta, quando Erodagn si presentava forte dei sondaggi anche grazie al buon andamento dell’economia turca, stavolta i sondaggi indicano che Akp difficilmente supererà i 35%, mentre Mhp è in declino e dato al 7%. L’emorragia è aggravata dal fatto che parte di questi voti non si sono dispersi nell’astensionismo ma si sono riversati verso Yvy, partito nazionalista che sostiene Kilicdaroglu. Ecco perché è lecito immaginare che la sfida si giocherà tra gli indecisi. Erdogan dà ormai per persi quei voti e non lavora per recuperarli ma parla, piuttosto, 10-15%. Il Presidente in carica lo fa, tra le altre cose, attraverso una campagna negativa nella quale accusa i suoi rivali di essere affiliati con i terroristi del Pkk.