Beppe Fioroni è stato il primo a lasciare il Pd, partito che lui stesso aveva contribuito a fondare, dopo l’elezione di Elly Schlein a segretaria. Come predetto da molto osservatori, tuttavia, l’uscita dell’ex ministro della Pubblica istruzione dal Partito democratico è stata solo la prima di una lunga serie. Dalla conclusione delle primarie, infatti, ben altri quattro esponenti dem hanno scelto di chiudere la loro esperienza con il partito. E potrebbero non essere i soli: la virata verso sinistra inaugurata dalla Schlein ha determinato un diffuso malumore nella componente centrista del partito, le cui istanze potrebbero essere fortemente marginalizzate in favore di scelte più radicali.

Beppe Fioroni: “L’addio al Pd scelta sofferta, ma necessaria”

La redazione di TAG24 ha raggiunto Beppe Fioroni, primo esponente del Pd a lasciare il partito dopo l’elezione della segretaria Elly Schlein. Fioroni non è l’unico, in questi due mesi, ad aver preso atto dell’incompatibilità delle sue posizioni con la linea varata dalla nuova segreteria. Solo pochi giorni fa, infatti, anche Carlo Cottarelli ha deciso di dimettersi da senatore. Se c’è chi difende il nuovo posizionamento del partito, in molti si domandano quale futuro potranno avere, nel nuovo Partito democratico, le componenti più centriste.  

Fioroni, lei stato è il primo, due mesi fa, a lasciare il Pd dopo l’elezione della segretaria Schlein. Osservando il percorso del partito in questo arco di tempo, ritiene ancora di aver fatto la scelta giusta?

“La mia è stata una scelta sofferta perché sono stato fondatore e primo segretario organizzativo del Pd. La segretaria, legittimamente eletta alle primarie, ha scelto di trasformare un partito di centrosinistra in un partito di sinistra-sinistra. Il Pd era un partito plurale che sintetizzava le migliori culture politiche del Novecento. La Schlein invece ha deciso di far rientrare tutte quelle espressioni di sinistra radicale, massimalista e movimentista. Ripeto, è stata una scelta legittima. Tuttavia in questo partito di sinistra-sinistra la cultura popolare, cattolico-democratica e liberal-democratica rischia di essere ospite sgradita e ingombrante. Lo dimostrano le fuoriuscite successive alla mia. Il mio contributo al nuovo Pd è stato togliere il disturbo”.

Lei crede che le fuoriuscite dal Pd che si sono succedute in questi mesi siano figlie dello stesso malessere?

“Non ci si deve soffermare solo sulle uscite dal Pd dal gruppo dirigente e parlamentare. Le espressioni plurali del cattolicesimo, del popolarismo della tradizione liberaldemocratica e riformista erano già ridotte ai minimi termini. Sui territori ci sono abbandoni costanti e quotidiani da parte degli esponenti del centro plurale, moderato e non populista. Negli addii silenziosi dei dirigenti, degli amministratori, dei consiglieri regionali e degli iscritti si intravede, più che un malessere, la necessità di ritrovare uno spazio che consenta di fare politica con le proprie convinzioni e le proprie idee”.

A quali istanze che oggi non trovano risposta un centro cattolico e popolare può dare voce?

“Io credo che serva la costruzione di un centro non inteso come luogo geometrico ma come una vasta area che abbia caratteristiche importanti. Serve uno spazio centrista accogliente e libero dove i soggetti compatibili dal punto di vista ideale, progettuale e valoriale possano incontrarsi. In questo campo, tutte le persone che si riconoscono nell’essere popolari potranno lavorare per ascoltare le istanze dei territori ed elaborare risposte ai problemi delle persone. Io credo che questo centro popolare e plurale sia la prospettiva a cui lavorare, ben lontani da impostazioni o populiste”.

Lei ha scritto che il “cattolicesimo politico non deve più limitarsi alla denuncia dei mali del mondo”. Cosa intende?

“Intendo che non possiamo solo disquisire dei grandi mali, ma dobbiamo avere il coraggio di metterci la faccia e sporcarci le mani, entrando in politica che, come diceva Papa Paolo VI, «è la più grande forma di carità»”.

Cosa pensa del riavvio del dibattito sulle riforme costituzionali?

Il riavvio del dibattito è un dato positivo, tenendo presente che la Carta costituzionale rappresenta un patrimonio di proprietà di tutti i cittadini italiani. La possibilità di poterlo modificare nei meccanismi di elezione del Capo dello Stato o del Presidente del Consiglio può essere approfondito, ma non con l’atteggiamento degli elefanti che entrano in una cristalleria. Si deve aver la capacità di ricostruire una bussola valoriale condivisa. Aldo Moro, quando avviò il tentativo, poi fermato con la sua uccisione, di rigenerare la nostra democrazia comprese che serviva ridare agli italiani questa bussola. Per questo credo che, volendo mettere mano a una riforma della Costituzione, è bene ricordare che questa è un patrimonio di tutti gli italiani e occorre una sintesi politica”.

Lei intravede, oggi, queste condizioni?

Siamo ancora all’inizio del percorso. Tuttavia, tra l’Aventino e il “se non vi sta bene vado avanti” registro atteggiamenti muscolari che non combaciano con il rispetto che merita la Costituzione”.