Il termine Bihaku in giappone assume 2 connotazioni correlate. In primis “Bihaku” sta ad indicare quel culto della bellezza determinante per le donne che desiderano avere una vita di successo. Inoltre il termine sta ad indicare quella moda sociale, tipica del Giappone, volta alla cura e allo sbiancamento, tramite prodotti di bellezza, della pelle definita “bellezza bianca”.
Bihaku, da dove ha origine e perché si è diffusa?
La bellezza bianca giapponese come canone estetico risale a circa 1300 anni fa, tra le epoche Asuka (538 – 710 d.C.) e Nara (710 – 794 d.C.) quando cominciarono a diffondersi nella nazione usanze legate all’estetica e alla moda dell’epoca. Tra queste, la colorazione bianca della pelle come segno di eleganza e di pregio. L’applicazione di una polvere biancastra chiamata oshiroi (letteralmente “polvere bianca”) ricavata dalla frantumazione del riso o di gusci di conchiglie praticata sino a quel momento in Giappone, venne gradualmente sostituita dalla tecnica ben più efficace introdotta dal continente che consisteva nello sbiancamento della pelle spalmando su di essa una sostanza a base di piombo.
La larga diffusione di tale applicazione fu attribuita anche all’ammirazione con cui l’aristocrazia in Giappone guardava alla raffinatezza della sofisticata civiltà cinese dell’epoca, la pratica di sbiancarsi la pelle con uno stato di Oshiroi a base di piombo divenne presto una moda largamente diffusa tra i nobili della corte giapponese. Questa pratica veniva eseguita non solo tra le donne, ma anche tra gli uomini. Trattandosi di un cosmetico estremamente costoso e pregiato, al concetto di bellezza estetica si affiancava contemporaneamente anche il simbolo del proprio status in società. Da un punto di vista storico letterale vi sono numerosi reperti storici che trattano questa moda uno tra questi è “Il racconto di Genji” di Murasaka Shikibu scritto nel XI secolo, dove viene esaltata la carnagione chiara “come il latte” a discapito delle carnagioni più scure viste come appartenenti a classi di ceto povero, sporche e impure.
Nel corso dei secoli l’usanza di pitturarsi il volto e la nuca con uno strato di Oshiroi bianco latte ha lasciato il posto al ben più sostenibile concetto di una pelle tendente al bianco in maniera “naturale”, infatti l’utilizzo spropositato dello Oshiroi ha visto la sua fine nel 1185 ma ritornerà popolare 400 anni più tardi. Anche se le donne giapponesi non si dipingono più il volto, rimane implicito nella memoria storica il valore e la pregevolezza di una pelle candida, un canone estetico tramandato sino ai giorni nostri e di cui ne sono inequivocabile dimostrazione tutti i centri commerciali del Giappone, dove si esalta il biancore della pelle come il valore a cui aspirare.
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