Presidenzialismo, cancellierato e sindaco d’Italia. Sono tre gli scenari principali emersi dalle consultazioni sulle riforme istituzionali promosse dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con i leader delle opposizioni. Il prof. Salvatore Curreri, costituzionalista dell’Università di Enna, è intervenuto a Base Luna chiama Terra su Radio Cusano Campus per spiegare la differenza tra i tre modelli sul tavolo.

Curreri: “Sindaco d’Italia non darebbe più stabilità”

Presidenzialismo, cancellierato e sindaco d’Italia non mettono d’accordo il governo e le opposizioni e nemmeno le opposizioni stesse. Ma sembra essere comune la consapevolezza che serve un intervento normativo per dare maggiore stabilità di governo al nostro Paese.

Siamo un Paese in cui i governi vanno al ritmo di uno all’anno – spiega Curreri – e questo è un fenomeno che ci allontana rispetto alle grandi democrazie europee. Eleggere il presidente del Consiglio direttamente però pone dei problemi perché a questo tipo di elezioni possono abbinarsi diversi modelli”.

In principio si parlava per lo più di presidenzialismo, o meglio il semipresidenzialismo alla francese.

Seguendo il modello francese – chiarisce il costituzionalista – per cui il presidente della Repubblica rimarrebbe organo di garanzia, verrebbe eletto il presidente del Consiglio e in questa maniera avrebbe sicuramente maggiori margini di intervento forte di una legittimazione elettorale. Potrebbe nominare e revocare i ministri, sciogliere le Camere e avere quelle prerogative che oggi restano del Capo dello Stato. Il punto è che, rimanendo noi in un sistema parlamentare, il presidente del Consiglio dovrebbe avere almeno la fiducia o quanto meno non essere sfiduciato dalle Camere”.

Un’altra soluzione di cui si parla è quella sposata per lo più da Italia Viva: il sindaco d’Italia.

Il sindaco d’Italia segue il modello che abbiamo a livello comunale e regionale. Gli elettori eleggono sia il sindaco che il presidente della Regione anche se con modalità diverse. Qui il punto è che questo modello prevede che il presidente della Regione o il sindaco sia eletto, però le Camere cioè le assemblee, i consigli regionali e comunali, possono comunque sfiduciare il presidente eletto. Quindi lo possono costringere alle dimissioni”.

È un modello parlamentare particolare. Quando l’assemblea costringe alle dimissioni il presidente eletto non lo può sostituire proprio perché devono essere gli elettori ad eleggerlo. Non può essere l’assemblea a sostituirlo perché la sua base di legittimazione è proprio il voto popolare. Il presidente non è uomo solo al comando, deve avere una maggioranza al consiglio e se si rompe questo accordo politico tra presidente e assemblea, questa può anche costringere il presidente a dimettersi. È un sistema che alla prima crisi politica costringerebbe a convocare nuove elezioni. Non porterebbe a più stabilità”.

La sfiducia costruttiva nel modello ispirato al cancellierato tedesco

La controproposta avanzata dal Partito Democratico è ispirata al modello del cancellierato tedesco con l’introduzione della sfiducia costruttiva.

Che è poi il modello parlamentare classico – aggiunge Curreri. Il presidente del Consiglio deve avere la fiducia dal Parlamento, non verrebbe eletto dagli elettori. Questo che è il modello tedesco cercando di rafforzare la figura del presidente del Consiglio. Quindi anziché le camere dare la fiducia all’intero governo dovrebbero eleggere e dare la fiducia solo al presidente del Consiglio, che anche qui avrebbe maggiori poteri come la scelta dei ministri. Ci sarebbe qui la cosiddetta sfiducia costruttiva“.

Noi siamo abituati che quando cade un governo si apre un periodo di crisi che può essere più o meno lungo in cui il presidente della Repubblica esercita i suoi poteri di moral suasion e cerca di ricucire il quadro politico. Con la sfiducia costruttiva questa fase di interregno tra un governo e un altro non ci sarebbe. Perché si può fare cadere un governo nel momento in cui si è in grado di proporne un altro. Una sfiducia costruttiva perché permette di far cadere il governo ma contemporaneamente nominarne un altro, quindi avere già una maggioranza in grado di subentrare alla precedente. Questo rafforza il governo in carica perché se non c’è un’alternativa, se le forze di opposizioni non sono in grado di unirsi per formarne un altro, il governo rimane in carica. È quindi una clausola che permette al governo di rimanere in carica fintanto che non c’è una maggioranza coesa in grado di sostituirlo”, conclude il costituzionalista.