Dopo 48 anni dai fatti è stato riaperto, a Como, il caso relativo al sequestro di Cristina Mazzotti e quattro persone starebbero per finire a processo. È la terza volta che, dal 1975 – anno in cui l’allora 18enne morì di stenti dopo essere stata imprigionata – si cerca di fare chiarezza su coloro che si occuparono di rapire la giovane. In tredici, negli anni, sono già stati condannati. Ieri, 9 maggio, c’è stata l’udienza preliminare nei confronti dei nuovi imputati, tra cui figura anche un boss della ‘ndrangheta.
Cristina Mazzotti processo: chi sono i nuovi imputati per il sequestro della 18enne
A chiedere di riaprire le indagini era stato l’avvocato Fabio Repici, che rappresenta la famiglia del giudice Bruno Caccia, ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1983. Leggendo dei verbali riguardanti il caso, il legale si era imbattuto, in pratica, nel nome di uno dei possibili sequestratori della giovane, avvisando gli inquirenti. Così, dopo i nuovi accertamenti effettuati dalla Squadra mobile, coordinata dal pm Stefano Civardi, si è arrivati a un nuovo processo: quello che da ieri, 9 maggio, giorno della prima udienza preliminare (che precede il dibattimento in senso stretto), vede imputate quattro persone.
Si tratta di Demetrio Latella, già finito al centro del caso per un’impronta rinvenuta sulla macchina dei sequestratori di Mazzotti; il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, volto noto dell’ambiente malavitoso del Varesotto; Giuseppe Calabrò, condannato in passato per droga, armi e tentato sequestro e l’avvocato Antonio Talia, ritenuto molto vicino a diverse cosche calabresi. Tutti, in un modo o nell’altro, sono legati ad ambienti mafiosi del Nord e Sud Italia, come le tredici persone che, negli anni, gli inquirenti hanno giudicato colpevoli del rapimento della giovane e della sua morte. Anche questi ultimi, come appurato dai nuovi rilievi, “presero parte attiva e portarono a compimento la fase esecutiva del sequestro”, avvenuto quasi 48 anni fa ai danni di una giovane di appena 18 anni.
Cristina era la sorella di mio padre ma io non l’ho mai conosciuta, sono nata proprio in quella drammatica estate. Oggi il mio impegno è tenerne viva la memoria perché mi occupo della Fondazione Cristina Mazzotti, che ha come obiettivo la prevenzione delle condotte anti-sociali nei giovani, attraverso attività educative e di formazione,
ha dichiarato la nipote Arianna, facendo sapere di aver appreso la notizia della riapertura del caso dai giornali. A riportarlo è Fanpage.it.
La ricostruzione del delitto
Tutto ha avuto inizio il primo luglio del 1975. Cristina aveva appena 18 anni quando fu rapita a Eupilio, in provincia di Como, mentre era in compagnia di alcuni amici e del fidanzato per festeggiare il diploma. La macchina sulla quale viaggiava, una Mini, venne affiancata da una Fiat125 e obbligata a fermarsi. Dall’autovettura scese un uomo armato, che portò con sé di forza la ragazza. Erano gli anni dei sequestri orchestrati da boss e uomini di mafia ai danni di familiari di persone benestanti con l’obiettivo di ottenere denaro e sostenersi.
Non ci si stupì più di tanto, quindi, della scomparsa: la giovane era infatti una delle figlie di Helios Mazzotti, noto imprenditore nel settore dei cereali. In tanti sapevano già chi fosse coinvolto nel sequestro. L’uomo fece di tutto per trovare i soldi del riscatto – 5 miliardi di lire – e ci riuscì. Nonostante questo, lo scambio tra lui e i rapitori non avvenne mai e il sequestro si trasformò in omicidio. A settembre, pochi mesi dopo il rapimento, il corpo di Cristina fu trovato senza vita in una discarica. Qui i sequestratori lo avevano portato dopo il decesso della ragazza. Secondo le indagini, era stata segregata in una “buca” scavata nel terreno e lì, a causa di un eccesso di tranquillanti, si era spenta. Su chi e come si sia occupato di lei non è si mai riusciti a fare pienamente luce.