Ritirarsi sull’Aventino significato: che cosa vuol dire? Si tratta di un’espressione utilizzata nel mondo della politica italiana. Ha una storia che parte direttamente dall’antichità ma che, nel corso dei secoli, torna ad essere attuale tra i parlamentari.
Ritirarsi sull’Aventino significato, che vuol dire?
Cosa s’intende con l’utilizzo dell’espressione “ritirarsi sull’Aventino?.” Con queste parole si vuole indicare ogni tipo di allontanamento volontario dalla scena politica. O, in alternativa, la non partecipazione ad eventi organizzati importanti come le riunioni o le assemblee.
In sostanza, la volontà di allontanarsi da una circostanza (per lo più in ambito politico) a cui si appartiene e, ancora, “ritirarsi per poter boicottare”.
Il modo di dire si è esteso dal mondo politico a quello dello sport: il calcio, in questi termini, ne è un esempio.
Si parla infatti in questi casi di “Aventino calcistico.” Ciò si verifica quando ci sono evidenti dissapori dal punto di vista economico tra la società e gli atleti stessi.
Vale anche per tutti quei casi in cui sono i tifosi che decidono di esprimere la loro non partecipazione alle partite per via dei contrasti con il presidente della squadra di calcio, ad esempio.
Ma vediamo più da vicino il modo di dire con le sue declinazioni in ambito politico nel corso della storia.
Ritirarsi sull’Aventino modo di dire
La secessione dell’Aventino fa riferimento ad un episodio della storia romana repubblicana, legata all’inizio delle ostilità tra patrizi e plebei, a causa del malcontento di quest’ultimi per la crisi economica che aveva abbattuto la città di Roma: questi scontri porteranno i plebei ad ottenere i diritti politici di cui prima erano insigniti solo i patrizi.
Per portare avanti la loro protesta, i plebei ricorsero ad uno strumento fondamentale: la secessione. Quest’ultima prevedeva che i plebei si ritirassero tutti sul colle Aventino (era il colle sul quale era situato il tempio di Cerere, Libero e Libera, dei cari all’ordine dei plebei), lasciando la città senza la propria forza lavoro e senza alcuna difesa contro l’esterno.
Durante le secessioni, i plebei diedero vita a delle leggi sacratae (chiamate così, tra le diverse interpretazioni, perché chiunque le avrebbe violate sarebbe stato considerato sacer per le divinità, dunque uccidibile impunemente) e si diedero degli ordinamenti e degli organismi politici, a partire dai concilia plebis. Si scelsero anche dei rappresentanti dei concilia plebis, ovvero i tribuni della plebe, i quali, in numero di due, avevano diritto di veto sulle azioni dei magistati.
La prima secessione della plebe avvenne nel 494 a.C.. I patrizi, per indurli a tornare, inviarono Menenio Agrippa, il quale riuscì con un discorso a dirimere la contesa che era nata da patrizi e plebei. Egli diceva, infatti, che le membra (i plebei) e lo stomaco (i patrizi) sono entrambi fondamentali per il funzionamento del corpo tutto. Questo è il motivo per il quale entrambi gli ordini possono davvero stare bene solo quando vi è la pace.
I plebei accettarono di tornare a Roma e, in cambio, ottennero l’istituzione del tribunato della plebe. Inoltre, i concilia plebis avrebbero avuto la possibilità di emettere delle delibere (plebisciti) che avessero valore di legge per i plebei.
Il numero di secessioni che vide i plebei come protagonisti è incerto: si parla di tre secessioni, nonostante lo storico Floro ne aggiunga una quarta.
Secondo alcuni, la secessione non avvenne sul colle Aventino, ma sul Monte Sacro.
Secessione sull’Aventino e Fascismo
Prende lo stesso nome un atto di protesta che è stato attuato nello scorso secolo, nel 1924: la Camera dei deputati del Regno d’Italia, ispirandosi alle vicende della storia romana, decise di astenersi dai lavori parlamentari, fino a quando i colpevoli che si celavano dietro la scomparsa di Giacomo Matteotti non sarebbero stati processati.
La protesta era volta contro il Governo Mussolini, insidiatosi nel 1922.
La protesta non ebbe successo e, dopo due anni, la Camera dei deputati deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani.