Il rapimento e la morte di Aldo Moro raccontati in cinque film diretti da alcuni maestri del cinema italiano, perché la sua storia non ha segnato solamente la storia politica e sociale italiana, ma anche il nostro immaginario.
Aldo Moro, cinque film diretti da maestri del calibro di Elio Petri, Marco Bellocchio e Giuseppe Ferrara
Immaginate di trovarvi all’inizio di un film. La macchina da presa sorvola la città di Roma in una mattina come le altre, le vite degli abitanti proseguono nei gesti tipici della routine quotidiana. Poi succede qualcosa a sconvolgere quella normalità, un evento eccezionale, improvviso e drammatico. Solo che non è un film, è la storia d’Italia. L’anno è il 1978 e questa è la cronaca di uno dei suoi episodi più sconvolgenti: il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Dal tragico ritrovamento del cadavere del leader della Dc sono passati ormai 45 anni e, sebbene una verità giudiziaria e storica sulla morte di Moro esista – caso raro nella storia del secondo dopoguerra italiano – il peso che la sua scomparsa ancora rappresenta sulla coscienza civile, politica e culturale del paese, è da sempre oggetto di indagine e analisi.
Aldo Moro, cinque film indagano un trauma nella coscienza italiana
In questo senso, non sono pochi i registi italiani che hanno rivolto il proprio sguardo all’interno di quella Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani per indagare quella figura esanime e abbandonata. Tra loro, veri e propri maestri della Settima Arte di casa nostra, da Elio Petri a Marco Bellocchio, passando per Giuseppe Ferrara. C’è chi vi ha visto il martire di un’epoca complessa, chi il simbolo di un potere corrotto, da esso divorato, chi, ancora, lo considera il bersaglio di un complotto internazionale. Film non sempre amati dai familiari di Moro, ma illuminanti, ognuno a suo modo, per capire quanto la morte dello statista democristiano sia un trauma con cui l’Italia sta facendo, ancora oggi, i conti.
Todo modo (1977), la profezia di Elio Petri
- Il primo film che vediamo arriva nelle sale cinematografiche addirittura un anno prima che Moro venga assassinato. Eppure, è possibile scorgervi molte delle tensioni che animeranno i 55 giorni di prigionia di Aldo Moro all’interno della sua area politica e nella percezione di un paese sull’orlo dell’Apocalisse. Il titolo, mutuato dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia, fa riferimento a una massima di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti che recita: “Ogni mezzo per realizzare la volontà divina”. Petri parte da questo assoluto per scagliare la sua invettiva contro una classe dirigente, quella della Democrazia Cristiana del suo tempo, che ha sacrificato l’adesione di facciata ai valori cattolici, sull’altare della conquista e conservazione del potere con ogni mezzo necessario. Ne scaturisce un ceto politico abietto, immorale, che, mentre il paese precipita in una misteriosa epidemia, si rinchiude in un bunker dove, uno a uno, tutti i suoi membri trovano la morte. Carneficina di cui cade vittima anche il loro Presidente, un Gian Maria Volonté che esegue una mimesi perfetta di Moro, ma esasperandone i toni grotteschi in chiave di denuncia politica e filosofica.
Il caso Moro (1986), l’instant movie di Giuseppe Ferrara
- Ancora Volonté ma questa volta al servizio di un progetto molto diverso rispetto a quello dichiaratamente politico di Petri. Giuseppe Ferrara filma, infatti, quella che è quasi una cronaca minuto-per-minuto dei 55 giorni di prigionia di Moro nel covo delle BR. Lo scopo è di fermare in un’istantanea lo scenario dell’Italia che fece da sfondo alla vicenda, per denunciare l’impossibilità di scongiurare l’esito tragico che ebbe. Il montaggio alternato della pellicola mostra i due mondi – quello interno alla prigione, con Moro prigioniero e i suoi rapporti con i brigatisti, e quello esterno, della freddezza della politica di fronte al dolore della famiglia – come inconciliabili e contrapposti. In quest’ottica, il leader democristiano diventa un uomo saggio, caduto vittima di due schieramenti accecati dai loro miopi obiettivi: l’illusione rivoluzionaria delle BR, e la gestione senza scrupoli del potere dei vertici Dc.
Piazza delle Cinque Lune (2003), Renzo Martinelli racconta l’omicidio di Aldo Moro con le armi del thriller
- La distanza temporale concessa dal passaggio al nuovo Millennio rende possibili tentativi più arditi nel processo di metabolizzazione della morte di Moro. Tra questi, quello più coraggioso è senza dubbio di Renzo Martinelli che, dopo aver raccontato la tragedia del Vajont con le tinte del melodramma e l’utilizzo di effetti visivi cui il cinema italiano non è abituato, affronta i misteri che ancora circondano il caso Moro con la carta del ‘poliziesco’. L’impegno civile incontra il thriller internazionale in una pellicola che sfrutta le possibilità concesse dal racconto di genere per fornire nuovi punti di vista sulla vicenda. Ecco, quindi, Mario Moretti, leader dei sequestratori, diventare un infiltrato della CIA nelle BR, al fine di garantire la soppressione di un uomo, Moro, diventato pericoloso nello scacchiere internazionale per le sue aperture nei confronti del PCI. Finzione e ‘fanta-politica’, probabilmente, ma anche nuovi motivi di analisi.
Buongiorno, notte (2003) ed Esterno notte (2022), Marco Bellocchio e l’analisi di coscienza italiana
- Sempre nel 21° secolo, un maestro come Marco Bellocchio decide di fare i conti con la lacerazione che la morte di Aldo Moro continua a rappresentare per l’Italia. Lo fa con due opere uscite quasi a vent’anni di distanza l’una dall’altra, dalla prospettiva privilegiata di chi è stato un protagonista di quell’epoca, vivendone e incarnandone su pelle e pellicola le illusioni rivoluzionarie. Nella prima, Buongiorno, notte, il regista piacentino lancia il suo personale atto d’accusa a chi, dal suo punto di vista, ha spezzato quei sogni con un omicidio politicamente e moralmente insensato. L’assassinio di un uomo pacato e timido, per quanto ideologicamente ‘lontano’, da parte di un gruppo di supposti rivoluzionari che, però, nei loro comportamenti, non fanno altro che ripetere i riti di quella famiglia borghese che avrebbero dovuto contestare e abbattere. In Esterno notte, lo stesso, implacabile giudizio Bellocchio lo riserva a quelli fuori dal bunker, famiglie – di sangue o politiche non fa alcuna differenza – segnate da frustrazioni, segreti, dietro un’apparenza di rispettabilità.
A risentirci più tardi (2012), la resa dei conti nel doc di Alex Infascelli
- L’ultima pellicola è anche l’unico documentario della serie. Realizzato da Alex Infascelli, il film porta le due ‘fazioni’ che nel 1978 si contendevano l’anima di Moro e, con essa, quella del paese, una di fronte all’altra. Da un lato, l’ex brigatista Adriana Faranda, che abbandonò la lotta armata dopo l’uccisione del leader Dc, dall’altro, Francesco Cossiga, esponente di punta della Democrazia Cristiana e bersaglio di forti contestazioni dal mondo della contestazione dell’epoca per le misure particolarmente repressive da lui promosse in qualità di ministro dell’Interno. Non un tentativo di comprensione reciproca delle motivazioni di un tempo – sebbene, forse, fosse proprio quello l’intento originario del lavoro di Infascelli – ma sicuramente un documento prezioso del rimpianto e del senso di ‘occasione mancata’ di cui è intriso l’omicidio di Aldo Moro.