“Concorrenza agguerrita” e “clima macroeconomico difficile”: questi i motivi per cui LinkedIn ha annunciato la chiusura in Cina. La comunicazione è arrivata direttamente dall’amministratore delegato dell’azienda di proprietà di Microsoft. In una lettera ai dipendenti, Ryan Roslansky ha comunicato il taglio di una serie di figure nei team di vendita, operativi e di supporto.

Il ceo ha parlato di “una riduzione dei ruoli per 716 dipendenti”. L’obiettivo è quello di snellire le operazioni dell’azienda nel Paese asiatico. Secondo le stime di Roslansky, i licenziamenti sarebbero volti a rispondere alle condizioni economiche globali e a rendere il business più agile.

Con il mercato e la domanda dei clienti che fluttuano e per servire i mercati emergenti in modo più efficace, stiamo ampliando l’uso dei fornitori. E stiamo anche riducendo i ruoli di management per prendere decisioni più rapidamente.

Chiusura Linkedin in Cina, nel 2023 messi alla porta più di 270mila lavoratori del mondo tech in tutto il mondo

Prosegue, dunque, la colossale campagna di licenziamenti nel settore tecnologico in tutto il mondo. Solo nei primi sei mesi del 2023, stando alle stime di Layoffs.fyi, sono stati tagliate più di 270.000 figure professionali in ambito tech.

LinkedIn è stata una delle poche società tecnologiche made in Usa a gestire un social media in un Paese come la Cina, dove Internet subisce forti limitazioni. Proprio in Cina, per uniformarsi alle regole, l’azienda ha introdotto una versione “alternativa” della piattaforma, gestita localmente, di nome InCareer. Sarà proprio questa piattaforma a chiudere i battenti: si parla del 9 agosto come data definitiva.

Non tutti i mali vengono per nuocere, secondo il ceo di LinkedIn: a proposito dell’espansione dei fornitori citata da Roslansky, è possibile che i cambiamenti in questione portino l’azienda alla creazione di 250 nuovi posti di lavoro.

Anche altre aziende tecnologiche di successo, ancora operative in Cina, incontrano costanti difficoltà per via delle autorità. Queste ultime, infatti, premono per bloccare contenuti indesiderati e argomenti ritenuti politicamente sensibili, nel nome della stabilità sociale. Ne sono un esempio Facebook, Twitter, Instagram e YouTube, bloccati perché non rispettano le normative del Paese. Google è andata via dalla Cina nel 2010.